Ha due facce ancora, ancora e sempre, questo nostro ciclismo, da anni. Ma vissuto, dibattuto, amato, trascorso, in Campania, realmente al giorno di oggi, è ancora di più conflittuale, per la narrazione leale fra un presente liliale e un passato ferito, tuttora prossimo. Cuore e malore.
E ci confonde stasera - il dibattito cuore e malore - che scriviamo, non c'è più da poche ore Ornella Vanoni e la ascoltiamo. E l’altro pomeriggio siamo stati alla cerimonia di premiazione della Challenge “Crescenzo D’Amore”, dedicata al ciclismo giovanile e promossa a Brusciano, giustappunto il paese dell'hinterland napoletano città natale del campione del mondo juniores a San Sebastian del ’97, tragicamente scomparso in un incidente stradale l’anno scorso di questi tempi, dalla famiglia e dalla Federciclismo campana, guidata da Umberto Perna. Quel Perna, gentiluomo della pista, fra l’altro, che di D’Amore, morto a 45 neanche compiuti era stato il coach..
E lì era stato bello ritrovare i volti di un ciclismo campano, e in primis partenopeo, che negli anni brevi e lunghi dal 1995 alle prime stagioni del 2000 si era di fatto disegnato una magica enclave di passione fiamminga trapiantata sul Tirreno solatìo, altro che le brume del Mare del Nord....
Do you remember? Già, sfilavamo, con l’affetto delle righe di allora, i volti di Antonio Salomone, Filippo Perfetto, Pasquale Muto, Antonio D’Aniello, per ognuno un applauso e un distinguo. Fino a quello dominante di Giuliano Figueras, il ragazzo di Arzano che nel 1996, a Lugano diventò il campione del mondo Under 23, e davanti a tre altri azzurri: Sgambelluri Sironi, e ai piedi del podio addirittura Bettini. Tanta Italia, il c.t. Antonio Fusi, troppa quel giorno, troppo azzurra. E ci sovveniva l’attacco dell’articolo, su Il Mattino qualche tempo dopo, quando passato professionista con la Mapei Giuliano avrebbe subito vinto in Malesia, a Genting Highlands: «un Merckx campano, dal cognome all’incrocio fra uno sprinter cubano del ’60, e un tennista spagnolo dell’80...». Già, che bravo, e intrigante quella crasi che esaltò il redattore capo fra Figuerola e Higueras.
Tutti un po’ di addome addosso, non muscolare, i ragazzi ex ragazzi, e il physique du role perfetto, un sorriso intelligente ed ammiccante scansadomande, certo Filippo Perfetto.
Sarebbe volato via quel ciclismo di gloria, e c’erano al tempo Salvatore Commesso campione europeo nel ’97, due volte tricolore e vincitore di altrettante tappe al Tour, Raffaele Illiano, Domenico Romano e Antonio Varriale, e Salvatore Scamardella, assenti l’altro pomeriggio, nel clamoroso turbinio del ciclismo incoerente dei primi anni 2000 e delle sue scorciatoie: tanto azzurro campano una buriana, sarebbe così finito di lato all’ordine e alle regole costituite, talora male, come d’altronde tanto e troppo ciclismo azzurro nazionale.
Storie singolari che avrebbero costruito certo una sconfitta tricolore al plurale. Pazienza, altrimenti non saremmo qui, così, abbiamo tutti - non solo loro - pagato di persona, a recuperare in bicicletta da corsa e credibilità l’equivoco di un quarto di secolo millantato.
E sia, ma al sentimento personale non si comanda, la predilezione del vecchio scrittore disilluso affiorava nell’abbraccio per ciascuno. «Ti ricordi, Giuliano, il bar Picnic di Arzano, e mamma e papà, allora?». E con Antonio Salomone parlavamo di Piotr Wadecki e dell’incidente al traguardo di Sorrento e della Cape Epic... E a Tony D’Aniello avrei ricordato, non ho fatto in tempo, o forse mi mancava la stabilità del cuore, il timbrino rosso del tappo di spumante sulla gota, non il bacio della miss, per una Magnum di bollicine che non aveva atteso il tempo giusto, al Tricolore per élite 2003... Non mancheremo ai loro giorni, l’onestà culturale è una stretta di mano.
E di ciclismo a Napoli cuore e malore, per una volta ancora - alla nostra età di autunni, chi ci può giudicare? - con Ornella Vanoni avremmo preferito Domani è un altro giorno a La musica è finita. E non solo perché arriverà per tutti il Natale.
da tuttoBICI di dicembre