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di Gian Paolo Porreca | 29/04/2022 | 08:05

Anticipiamo, per gentile concessione di LeVarie edizioni, un abstract de «Il Giro racconta - La meravigliosa storia dei 115 arrivi del Giro d’Italia in Campania», ultima opera di Gian Paolo Porreca, in uscita il 20 aprile prossimo.

Napoli, quanto spettacolo di golfo, nel Giro del ’59. Quante copertine da co­lori de Lo Sport Illustrato ai volti sgranati ma gelosamente conservate in una casa remota di campagna, a declamare quel Gi­ro. Il secondo vinto da Charly Gaul, contro Jacques Anquetil, e quanta avventura, un romanzo di Emi­lio Salgari, quanti nomi da cappa e spada, quanti capovolgimenti inattesi, quanto spettacolo da tappi di spumante sui traguardi, da biglie sulla spiaggia, i belgi della “Faema”, la guardia rossa di Van Looy, i francesi della “He­lyett”, al mozzo di Anquetil, e gli italiani della “Ignis” e della “Bot­tecchia” e della “Le­gnano”, Mas­signan e Battistini li ri­corderemo più in là ancora e della “San Pel­legrino”...

E Napoli ne gode in una strepitosa centralità, che soltanto nel Giro del 2013 troverà una analogia plausibile, con  eroi oggi purtroppo distanti dalla fantasia.

Quanta Napoli, ed è un singolare concentrato di emozioni, a casa no­stra, che da un lato esalta il fascino del nostro territorio, dall’altro, co­me più volte abbiamo scritto, sciorina quanto sillabario di “ciclismo”, quanto lessico di tecnica in un raggio di trenta chilometri la geografia nostra possa proporre. La volata a via Ca­racciolo o al velodromo della Are­naccia. L’ascesa al Vesuvio. La cronometro da percorso arcigno, sull’isola di Ischia.
Noi ne faremmo una Tre Giorni, da inserire in calendario di World Tour, non un evento episodico, solo romantico, da narrare saltando due generazioni di silenzio. 1959-2013, dicevamo.

Tre giornate a Napoli, e tre atti recitati  da attori e reclute protagonisti, non subalterni allo spettacolo, e questo non guasta, anzi rende lo spartito più accattivante. Volevamo uno sprinter palpitante? E chi ci vince all’Arenaccia, in assenza dei veltri fiamminghi distratti quel gior­no, la Napoli - Roma del rito, alla 6a tappa, se non Miguel Poblet (Ignis), il fu­retto spagnolo, una pallottola fulminante, che ritroveremo come discendente nel ciclismo del 2000 in Oscar Freire, anche se Po­blet era totalmente calvo e Freire aveva una folta capigliatura corvina, maradoniana, che si lascia alle spalle Guido Carlesi (Molteni) e Oreste Magni (EMI)?

E cosa si auguravano l’organizzatore Vincenzo Tor­ria­ni e/o uno spettatore dal bor­do strada, per la successiva cronoscalata da Resina (Ercolano) - Ve­suvio (7a tappa), se non che la giornata salutasse il successo di chi avrebbe poi vinto il Giro, come se da Napoli ottenesse un via­tico rosa e non pedissequamente azzurro? E sul Vesuvio pri­mo sarà infatti Char­ly Gaul (EMI), davanti a Giulio Boni (Tri­cofilina - Coppi), e allo stesso Miguel Poblet (Ignis), a 39”, con Gaul che rinsalda il suo primato su Jacques Anquetil e Rik Van Looy.

In cima Gaul, a Resina, o la chiamiamo Ercolano, che al giorno di oggi suona più di voga, e uno sguardo scivola naturale sui compagni di Gaul nell’EMI diretta da Learco Guerra, e vi trova a sorpresa, per quello spirito equo di recupero dei valori che è dello sport e prima ancora del ciclismo, come luogotenente di Charly Gaul proprio Pa­squale Fornara, che era stata la sua vittima sul Bondone, nel ’56...La pace dei sentimenti.

E su quel Vesuvio, che ritroveremo al Giro di maggio del 1991 e del 2009, in un ordine di arrivo di eccellenze, in fondo anche Boni è una promessa dichiarata, sbirciamo al quarto po­sto un anonimo siciliano, di nome Antonino Catalano, da Pa­lermo, che fa meglio di Anquetil, hai visto mai... E anche questo è l’anima sublime del ciclismo, sport terrestre con lo sguardo in altro, e vorremmo dire perfettamente in sintonia con lo spirito sentimentale della Napoli non metropolitana e non vinciuta che ammiravamo, quella degli anni ’60, la Napoli al posto suo, senza accidia e risentimento per gli altri...

Quell’Antonino Catalano (Bian­chi) che riuscirà poi a trionfare il giorno dopo, incredibile ma reale, i sogni umili si avverano nel golfo di Na­poli, nella cronometro di  Ischia (9a tappa), 31 chilometri di un tracciato misto che è poi il periplo sali-e-scendi di un territorio magico, e ideale per la souplesse del ciclismo, non solo perché lo conosciamo sui pedali, ma per la varietà oggettiva del percorso: la salita di Serrara, la discesa di Forio, il rettilineo di Lacco, i tornanti aspri, come il Grammont del Fiandre, di Buonopane. Ca­ta­lano precederà quel giorno, come non gli accadrà mai più, ultima vittoria di una scarna carriera, Jacques Anquetil (Helyett) di 52” e Rik Van Looy (Faema), l’imperatore di Herentals, nella roboante mi­tologia dell’epoca, di 1’02”. C­atalano, che si ritirerà dalle corse presto, e che al Tour dell’anno prima si era fermato esausto, sul Tourmalet, e aveva lanciato al cielo - si raccontava - il berrettino, «va, vola almeno tu»... Ma che ad Ischia, lo zefiro amico, o il polline dell’isola, volava di suo.

Quel Giro di cuore partenopeo del ’59, con partenza ed epilogo a Milano, 22 tappe, dal 18 maggio al 7 giugno, sarà appannaggio di Charly Gaul (EMI), con un sigillo determinante, una impresa luminosa, contro Anquetil nella Aosta - Cour­ma­yeur, 21a tappa. Al secondo posto Jacques Anquetil (Helyett) a 5’12” e al terzo Diego Ronchini (Bianchi) a 6’16”. Quarto era Rik Van Looy, il “Rik II” per non fare ombra a Rik Van Steenbergen, il “Rik I”, quel gran cacciatore belga di classiche e volate e Mondiali che amava l’I­ta­lia e si allenava in Riviera, ma che al Giro incontrava sempre una montagna nemica di troppo. Non era, pertanto, Merckx.

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