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LE STORIE DEL FIGIO. I 50 ANNI DI GIAN MATTEO FAGNINI, RE DEI PESCI PILOTA
di Giuseppe Figini | 13/10/2020 | 07:50

Gian Matteo Fagnini, corridore di gran vaglia e capacità specifiche, ha appena tagliato l’importante traguardo dei cinquant’anni essendo nato a Lecco l’11 ottobre 1970 e vivendo la gioventù a Molteno, il suo paese, piacevole centro del lecchese che è stato a lungo anche il “buen retiro” del grande Lucio Battisti.

Vivissimi auguri a Gian Matteo Fagnini, per la ricorrenza anche se fa una certa impressione, l’espressione mezzo secolo, dato anagrafico riferito a una figura del ciclismo che nella sua carriera professionistica, che va dal 1994 a 2005, ha lasciato un’immagine rilevante, quasi creando, anche senza quasi, una specializzazione per la quale è ricordato, quella del ”pesce pilota”. Una funzione e un ruolo in corsa, soprattutto nei finali di gara in pianura con conclusione in volata, che erano già interpretati ma che Fagnini ha rivisitato e proposto con accuratezza e capacità che si possono definire tranquillamente “scientifiche”. E questo sia per doti atletiche e tecniche naturali, sia per capacità di rapido, rapidissimo, ragionamento e intuizione, con decisione fulminea, senza tentennamenti, della miglior traiettoria da individuare per favorire il capitano mentre si procede, affiancati, anche in curva, alla massima velocità e con il cuore in gola e tutti gli altri muscoli impegnati allo spasimo, nella bagarre con altri pretendenti al successo.

La sua carriera pedalata, dopo la trafila nelle categorie giovanili d’avvicinamento in società della zona quale, fra gli juniores, la gloriosa U.C. Comense 1887, dove era con l’amico Fabio Casartelli nel biennio 1987 e 1988, diretti dai d.s. Giovanni Roncoroni e Luciano Pedretti, poi entrambi alla Remac nel 1989, squadra dell’appassionato Mario Cioli. Dal 1990 è alla bergamasca Domus ‘87, realtà orobica che è stata anche l’organizzatrice della notissima Settimana Bergamasca, corsa a tappe di primario rilievo in campo internazionale sempre caratterizzata, soprattutto in quegli anni, da una partecipazione di primo rilievo a livello internazionale. L’attivissimo Gianni Sommariva era la figura di riferimento, in campo organizzativo e, nell’ambito societario, operava pure la forte formazione agonistica guidata dal giovane ma già affermato direttore sportivo Olivano Locatelli. Nella Domus ’87 il lecchese Fagnini corre avendo quali compagni, fra altri, molti corridori che si sono affermati pure nel professionismo. Questi rispondono ai nomi di Wladimir Belli, Giuseppe Guerini, Marco Milesi e il compianto Diego Pellegrini, perito in corsa nella discesa del Colle San Carlo al Giro della Valle d’Aosta nel 1993. E’ alla Domus ‘87 anche Fabio Casartelli – suo amico e vicino di casa -, pure lui colpito fatalmente dal destino al Tour de France, nella tragica caduta nella discesa pirenaica del Portet d’Aspet il 18 luglio 1995 che costò la vita, a 25 anni, del vincitore dell’oro nella prova su strada alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. In quel gruppo c’era anche poi un altro oro di Barcellona 1992, nella corsa a punti, Giovanni Lombardi, Giuseppe Di Grande e altri vari notevoli corridori. Era forte la connotazione lombarda, orobica soprattutto, di quel nucleo cresciuto alla severa scuola di Olivano Locatelli e per ricordare il loro valore riteniamo non sia necessario illustrare i rispettivi “palmarès”, ben conosciuti dagli appassionati. Nel 1993 Gian Matteo Fagnini corre il suo ultimo anno fra i “puri” nella Cosmos Bresciacalze, dove ha, come compagni, Rosario Fina, Eddy Mazzoleni e, ancora, Marco Milesi.

Fra le sue vittorie, prima del professionismo, si possono ricordare la Coppa d’Inverno nel 1990, due vittorie in Costa Rica, la Coppa Cicogna e la Firenze-Viareggio nel 1991, la toscana Ruota d’Oro-G.P. Festa del Perdono nell’aretino, a Terranuova Bracciolini nel 1992 e nel 1993 una tappa al Guglielmo Tell e la medaglia d’oro su strada ai Giochi del Mediterraneo, in Francia.

Passa fra i professionisti nel 1994 nella Mercatone Uno, squadra diretta dall’esperto d.s. toscano Mario Salutini con Franco Gini e dove trova Michele Bartoli, Francesco Casagrande, il poliedrico Adriano Baffi e Mario Cipollini, possente velocista frenato in quegli anni da infortuni vari. Rimane lì anche nel 1995 e acquisisce varie esperienze con buoni piazzamenti fra i quali spiccano la piazza d’onore nell’ultima, prestigiosissima, tappa del Tour de France, ai Campi Elisi, preceduto da Djamolidine Abdoujaparov, la rapida freccia uzbeka a traiettoria – talvolta assai variabile e temuta dagli avversari - con volata caratterizzata da continui rilanci della stressantissima bicicletta per i suoi ondeggiamenti e impulsi scaricati con peculiare forza sui pedali.

Dal 1996 al 1999 gareggia con la Saeco del team manager Claudio Corti, dove l’ha fortemente voluto Mario Cipollini nel suo “treno rosso” che nei finali di corsa fila in formazione verso il traguardo, con posizioni e ruoli ben precisi, per evitare allunghi degli avversari, a velocità elevata ma controllata, senza contraddizioni in termini, senza “strappi”, ma in modo graduale e armonico, per aprire nel migliore dei modi possibile, senza ostacoli davanti o ai fianchi e curando anche la sua ruota posteriore, la strada al rush finale del capitano, Re Leone nello specifico, che terminava vittoriosamente e ripagava, con i suoi frequenti successi, il lavoro del “treno”.

Situazioni di gara già poste in atto anche nel passato dalle famose “guardie rosse” della Faema del grande belga Rik Van Looy, dalla Raleigh diretta dall’olandese Peter Post e, in parte, anche dalla Molteni di Eddy Merckx e pure, già alla Mercatone Uno dove Silvio Martinello – nome che non necessita d’altre spiegazioni – “lanciava” Cipollini.

Il treno Saeco annoverava, nei finali di corsa, fra altri, il legnanese Giuseppe Calcaterra, il milanese Mario Scirea, il laziale Roberto Petito, il toscano Paolo Fornaciari, tutti “stangoni” di notevole statura – fisica e atletica – e poi, attorno all’ultimo chilometro, Gian Matteo Fagnini – comunque cm. 180 d’altezza – che era il delegato a pilotare e lanciare Mario Cipollini, ruolo poi rilevato da Biagio Conte quando lo squadrone della Deutsche Telekom tedesca, offrì a Fagnini condizioni contrattuali assolutamente vantaggiose e irrinunciabili per arruolarlo nelle sue fila e condurre gli sprint di Erik Zabel. Per quattro stagioni, dal 2000 al 2003, Fagnini ha svolto egregiamente il suo prezioso lavoro nella formazione tedesca, dove hanno corso anche Giovanni Lombardi, Alberto Elli, Giuseppe Guerini, Paolo Savoldelli, prima di tornare in Italia, alla Domina Vacanze, nel 2004 e ritrovare Mario Cipollini per terminare nel 2005 con la Naturino.

Il suo palmarés, nonostante la scelta fondamentale e di vita sportiva-professionale operata nella categoria maggiore per essere di collaborazione assoluta alle esigenze della squadra, presenta diversi successi in Spagna e al noto Giro di Colonia mentre in Italia, è stato il vincitore della classifica Intergiro nella corsa rosa 1998 dove si è classificato primo anche in due tappe, in successione, dopo il ritiro del suo capitano Cipollini, nella parte finale della massima corsa a tappe nazionale, imponendosi allo sprint a Mendrisio e, due giorni dopo, sul prestigioso traguardo finale di Milano dove Pantani ha celebrato la sua vittoria in rosa sotto la pioggia.

Finita la carriera pedalata Fagnini è un po’ sparito dai radar dell’attualità ciclistica e vive nel bergamasco con la moglie Rossella e i figli - Jacopo, 20 anni  e Greta di 11 - seguendo comunque il ciclismo e mantenendo vivo il contatto personale con gli amici pedalatori del territorio della sua (e loro) gioventù.

Compiendo uno strappo alla sua riservatezza rivela d’essere stato l’ultimo a parlare con Fabio Casartelli mentre scalavano affiancati, “en souplesse”, senza forzare il Portet d’Aspet prima che, verso la cima, Richard Virenque operasse lo scatto di prammatica per acquisire i punti del GPM. Un’accelerazione che ha allungato il gruppo e che ha posto fine al loro colloquio. Fagnini era risalito verso la decima posizione mentre Casartelli era rimasto maggiormente indietro, di un’altra decina di posizioni circa, quando avvenne la maledetta caduta fatale per l'amico Fabio.

E’ un dolore che sempre gli pesa per l’avversa sorte del suo collega, amico e, per un cospicuo tempo, purtroppo troppo breve, compagno di scuola e di gioventù accomunati dalla passione per la bicicletta.

 

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