Era un ragazzo prodigio: siccome vinceva tutte le volate, i suoi amici gli stringevano i freni, eppure lui, nonostante le ruote impedite, continuava a batterli.
Era un debuttante ingenuo: la prima corsa fece la volata, vinse ed esultò, ma era troppo presto, alla conclusione della gara mancava ancora un giro.
Era un corridore volonteroso: lui e un suo amico, anche lui corridore, partivano da casa in Vespa, quello davanti guidava, quello dietro teneva le due bici sulle spalle, evitavano di fare la statale per non imbattersi nella polizia, e arrivavano alla partenza della corsa.
Era un giovane campioncino: la prima volta che indossò la maglia azzurra fu a Bruxelles, e quella sera – per dirne soltanto due – impegnati in una prova dietro derny c’erano anche Fausto Coppi e Rik Van Steenbergen.
Era un pistard, e come tutti i pistard, era un po’ matto: ai campionati italiani di velocità, a Varese, nel 1968, ingaggiò un “surplace” lungo un’ora e quattro minuti con Vanni Pettenella, poi si sentì polsi e caviglie gonfie e si buttò a terra per annullare la prova.
Ma era anche uno stradista, e sempre un po’ matto: a Mareno di Piave, arrivo in volata, prese Franco Testa per i pantaloncini, si lanciò tipo americana, ma fece cadere una ventina di corridori, così di volata ne fece un’altra, dopo il traguardo, per sfuggire agli avversari che lo volevano linciare.
“Una vita in pista” è quella di Sergio Bianchetto, medaglia d’oro tandem all’Olimpiade di Roma 1960 e di Tokyo 1964, campione mondiale velocità dilettanti 1961 e 1962, otto titoli italiani fra cui velocità dilettanti 1963 e professionisti 1968. In un’autobiografia (con la prefazione di Beppe Conti e un pensiero di Giuseppe Degani) ancora in attesa di una casa editrice, Bianchetto si racconta: il papà Battista che aveva il doppio lavoro, da operaio e da contadino, la mamma che andava alla ditta in bici, ed è lì il dna, lui che trasportava bombole a gas a domicilio su un triciclo, la prima bici – una Vetta bianca da corsa – che appoggiava vicino al letto e ne baciava manubrio e sella, gli allenamenti con la sveglia alle cinque di mattina e gli 80 chilometri per i Colli Euganei e i furti di frutta nei campi e nei vigneti e poi il bagno nella tinozza, fino alle sfide contro Beghetto e Gasparella, Gaiardoni e Maspes, Morelon e Trentin, Sercu e Pettenella.
Una vita di strategie e furbizie, di gomitate e codate, di viaggi e fughe, di velodromi e ristoranti, di vittorie e sconfitte, di premi divisi e sfumati, di strabilianti avventure. Una per tutte, in Australia: “In una Seigiorni a Melbourne, in coppia con Pettenella, caddi dopo il terzo giorno di gara e riportai una forte contusione alle costole tanto che avevo difficoltà respiratorie. Fermarmi era impossibile altrimenti saltava l’ingaggio così mi venne un’idea pazza. La pista era in legno, pensai di portare una tanica di benzina e appiccare un incendio ma il mio istinto piromane per fortuna venne subito represso”.
Marco Pastonesi