In bici per respirare più che per cospirare, in bici per abitare più che per agitare, in bici per vivere più che per sopravvivere. In bici per contestare e per con-te-stare, in bici per condividere la strada e anche la Terra, in bici per muoversi e perfino commuoversi. Tutti in bici, sabato, alle 16, a Roma, ai Fori Imperiali.
Il nome è bellissimo: Bicifestazione. Sa di corteo, sa di lotta, sa anche di unità e solidarietà, di immaginazione al potere, di vita vitalità e vivacità a pedali e ai pedali. Perché stavolta si “bicifesta” per una città a due ruote, leggera, educata, pulita, sicura, agile. E fa niente se tutto questo significa che la città diventa anche più lenta.
La prima (e unica) volta, al suono di “veni, vidi, bici”, è stata nel 2012. Gli organizzatori – il movimento, o il popolo, o la tribù dei salvaiciclisti – non si aspettavano una partecipazione così imponente: cinquantamila. Che poi sono sempre una piccola parte di tutti quelli che in bicicletta andrebbero a scuola o al lavoro, al mercato o al bar, ad allenarsi o a viaggiare. Perché quello di chi va in bici è un mondo, ma un mondo spesso diviso, frazionato, se non separato. Un arcipelago di isole isolate, sorde perché concentrate solo sui propri interessi, scollegate. A ciascuno la sua bici e il suo abbicidario.
Ma a giudicare dal “chi siamo”, stavolta il verbo pedalare appartiene a tutti: dalla Fiab al Touring club italiano, dal Social Bike Palermo alla Massa Marmocchi Milano, dal Comitato Velodromo Vigorelli alle Borracce di poesia, dal Progetto Rwanda onlus alla Mobilità sostenibile marsicana, dalla Uisp al Wwf, dal Vesuvian bikes village all’Alleanza per la mobilità dolce. C’è anche la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza di Roma. E tanti altri.
Dal 2012 molto è stato fatto: la diffusione del noleggio pubblico delle biciclette, il successo delle biciclette elettriche, la moltiplicazione degli alberghi e delle pensioni convenzionati con i cicloturisti, l’allungamento delle ciclovie, la realizzazione delle piste ciclabili. Ma molto resta ancora da fare: la sicurezza, innanzitutto. Che vuole dire: la cultura della bicicletta. Più lenta di una legge, ma molto più importante e duratura.
“La situazione – dicono gli organizzatori - è peggiorata perché è aumentato il numero di chi sceglie metodi leggeri di spostamento e questo cambiamento non è stato recepito dalle istituzioni. Le persone costituiscono le città, ma le città sono state fatte per le automobili, rendendo le persone deboli e infelici. Questa terribile realtà deve cambiare. Vogliamo fare una rivoluzione, la più bella rivoluzione del mondo. Vogliamo sicurezza, salute, socialità e bellezza”. In bici si può.
Marco Pastonesi