La Milano-Sanremo è quella corsa che – dice GiBì Baronchelli – devi rischiare di perdere per poter sperare di vincere. Tant’è vero che un anno fa Peter Sagan la voleva vincere così tanto che poi l’ha persa.
La Milano-Sanremo è una corsa che si perde, basta un errore, anche minimo, un niente, è una corsa che più di tutte le altre va interpretata, tradotta, giocata, e il gioco è d’azzardo, tant’è che Sanremo è una delle capitali dell’azzardo.
La Milano-Sanremo non è più la Classicissima di primavera, così almeno sostiene Mauro Vegni, a capo del settore ciclismo della Rcs Sport, il cielo inteso come tempo le è contro e contrario.
La Milano-Sanremo è un sabato italiano, quando è stata spostata a domenica non era più lei, come se avesse perso (la Milano-Sanremo è una corsa che si perde) la sua sacralità, la sua identità, perfino la sua gran natica e la sua geografia.
La Milano-Sanremo è quello scalpitare alla partenza fra le mura del Castello e i marciapiedi del Foro, quel curiosare fra pullman e ammiraglie, quello scrutare fra caschi e mantelline, quell’applaudire fra due capannelli in un corridoio.
La Milano-Sanremo è quel primo pronti-via nella metropoli e quel secondo pronti-via sul Naviglio, quella prima fuga destinata al fallimento, quel Turchino che non è più un passo, quei capi spianati, quel Poggio scalato nell’acido lattico e disceso nell’adrenalina pura, quel mare che non si ferma mai.
La Milano-Sanremo è il caffè a Cadorna, la brioche a Voghera, il risotto (del Gigi Belcredi, e dei suoi amici, e con tutti gli amici del ciclismo: un anno fa si fermarono un campione olimpico, Marino Vigna, e un campione del mondo, Alessandro Ballan, e un campione d’Italia, anche se fra i dilettanti, Alberto Morellini) a Masone.
La Milano-Sanremo è il Diavolo Rosso e Petit Breton, il Campionissimo e il Trombettiere, l’Airone e il Cannibale, SuperMario e Spartacus, è la vita in un giorno, è la storia in una corsa, è il sogno in una mappa, è la favola di un avventuroso o l’avventura di un favoloso.
La Milano-Sanremo - in questi giorni ciclistici che la precedono – è Gianni Bugno che rivela che dopo il Mondiale vinto da Maurizio Fondriest era così contento che tornò a casa in macchina (milletrecento chilometri) invece che in aereo, spiegando che a lui l’aereo faceva paura, tant’è vero che poi avrebbe fatto l’elicotterista. Ed è Ballan che racconta che, dopo il Mondiale 2008 vinto a Varese, lui è quello del Garmin storto, perché gli batteva contro il ginocchio. Ed è Alex Zanardi che aggiunge che, invece lui, almeno quel problema del ginocchio non ce l’ha, non ce l’ha più, e da un bel po’.
La Milano-Sanremo è una chiave, la chiave di un codice, e il codice è di appartenenza, e l’appartenenza è a un mondo, ed è una buona scusa per stare al mondo.
Marco Pastonesi