“Arena di Milano, due partite di calcio fra coppiani con la maglia del Milan e bartaliani con quella dell’Inter – ricorda Vittorio Seghezzi, l’unico corridore italiano ancora vivo del leggendario Tour de France 1948 conquistato da Bartali -. Capitani Fausto e Gino, arbitro Peppino Meazza, e guardalinee lui, Costante Girardengo. Incasso destinato agli alluvionati del Polesine. Giocavo nella squadra di Fausto, e vincemmo tutte e due le volte”.
“Girardengo era un’istituzione. Lo incontravo sulle strade del Giro d’Italia, al Vigorelli per le riunioni, una volta anche a Sanremo per una festa riservata ai vincitori della Classicissima – racconta Marino Vigna, olimpionico a Roma 1960, poi c.t. della pista e d.s. di Eddy Merckx -. Elegante, spesso con il cappello, un signore nato, come Alfredo Binda, e incuteva rispetto”.
“La prima volta lo incontrai quando frequentava il Giro d’Italia, poi durante feste a Castellania e a Novi Ligure. Qui era considerato un padreterno – giura Imerio Massignan, forse il più forte scalatore italiano di sempre -. Aveva stile, classe, eleganza. Quando gli strinsi la mano, fu come farlo con il papa”.
Costante Girardengo morì il 9 febbraio 1978. Aveva quasi 85 anni. In bici era più di un cannibale: su 289 corse su strada disputate da professionista ne vinse 128, su pista collezionò 965 vittorie, trionfò in sei Milano-Sanremo, tre Giri di Lombardia, due Giri d’Italia con 19 tappe, addirittura nove campionati italiani (si era così abituati a vederlo in maglia tricolore da dimenticare i colori della sua squadra). E fu anche primatista italiano dell’ora con 41,032 nel 1917. Poi diventò commissario tecnico, direttore sportivo e industriale.
Domani si celebreranno i 40 anni da quel giorno di lutto. Lo si farà nel piccolo e affettuoso cimitero di Cassano Spinola (Alessandria), dove il primo Campionissimo nella storia del ciclismo riposa in una tomba di famiglia, a pochi passi dalla tomba di Sandrino Carrea, lo storico gregario del secondo Campionissimo, Coppi. C’è da scommettere che si stanno facendo compagnia.
Ma Costante Girardengo vive, abita, respira sempre. Il suo è un lunghissimo addio. Oggi è in un Museo del ciclismo e nello stadio di calcio a Novi Ligure, in alcuni libri (l’opera miliare rimane il “C’era una volta il Gira…” di Nazareno Fermi), in una canzone scritta da Luigi Grechi e immortalata da Francesco De Gregori, su vie (da Palermo a Cormano) e targhe (la più recente a Foligno) per l’Italia, e sempre sulla strada come marchio di biciclette che sfidano industrie multinazionali e ruggini universali. Ed è nella nipote Costanza che continua a rappresentarlo nelle cerimonie e nella pronipote Michela che si cimenta nelle ciclostoriche. Ed è in quel cognome che suona come un cerchione sullo sterrato, è in quel nome eletto a participio presente del ciclismo, ed è anche in quei ricordi di Seghezzi, Vigna e Massignan.
La strada non dimentica. E se è per questo, neppure la pista dimentica.
Marco Pastonesi