Ma come – mi fa Giovanni Bordin, detto Filtro per la sua gradazione alcolica, ieri valoroso rugbista di mischia e oggi stimato medico di ospedale – non sapevi che sono il pronipote di Lauro Bordin? E no che non lo sapevo.
Lauro Bordin, rovigotto di Selva di Crespino, di antica origine francese, con un antenato del 1500 che faceva parte dell’Intendenza pontificia avignonese, un altro del 1600 investito del titolo di Signore del Fondo di Toetto della Scarena vicino a Nizza, un altro ancora eletto arcivescovo di Avignone, lui era il figlio di un contadino e di una maestra, faceva parte di una famiglia numerosa, uno zio si chiamava Giocondo, un altro Napoleone, ed era il primo di otto tra fratelli e sorelle.
Lauro Bordin, che acquistò la prima bicicletta dal figlio della bidella della mamma maestra, che le prime corse le faceva da casa a scuola (a Rovigo, 24 chilometri, e il giorno in cui gli si staccò la borsa con i libri dal portapacchi, lui pedalò diritto fino all’arrivo, poi tornò indietro a cercarla), che a 15 anni emigrò a Milano, che fu teatrante e decoratore, pittore e – a 16 anni - venditore di automobili, che acquistò la prima bicicletta da corsa in un negozio di macchine per cucire, che la prima vera corsa, la Milano-Desio-Milano, pronti via una trentina, lui scattò e fuggì, ma a Desio i giudici erano in un’osteria e lui proseguì fino a Seregno, quando si accorse dell’errore tornò indietro e alla fine giunse comunque terzo.
Lauro Bordin, che al Giro del Piemonte 1910 prima - causa rottura della catena - prese la bici di un compagno corridore, poi - causa foratura - prese la bici di un ragazzo spettatore, quindi - causa colpo di genio - prese la bici di un professionista ritiratosi, infine – causa energia e talento - raggiunse i fuggitivi e vinse la volata finale, ma siccome la bici avrebbe dovuto essere quella punzonata alla partenza, lui magicamente fece sparire la bici su cui aveva vinto e riapparire quella su cui era partito, e così i reclami degli avversari furono respinti.
Lauro Bordin, che al Giro d’Italia 1914, la terza tappa Lucca-Roma di 430 chilometri, dopo una ventina di chilometri fu l’unico a superare un passaggio a livello (chiuso) mentre il casellante menava chi tentava di imitarlo, poi pedalò illuminato dall’ammiraglia e tenuto sveglio dal canto del direttore sportivo e del meccanico, raggiunse mezz’ora di vantaggio, lo esaurì per una foratura di gomma e una crisi di fame, quando fu raggiunto da Costante Girardengo e altri sei si fermò in un’osteria per farsi dare pane, salame e formaggio, arrivò al traguardo settimo a un paio di minuti da “Gira”, ma con il primato della più lunga fuga solitaria, 360 chilometri, imbattibile.
Lauro Bordin, che al Giro di Lombardia 1918 quando inseguiva Girardengo, Tano Belloni e Romeo Poid, si fermò per bere a una fontanella, lì vide una freccia secondaria, la seguì, e dopo una discesa si trovò in testa alla corsa, pigiò sui pedali per i rimanenti 25 chilometri e tagliò primo il traguardo, otto minuti davanti a Girardengo e a Belloni. “Non era colpa mia se per errore gli altri avevano percorso due chilometri in più!”.
Giovanni Bordin, pronipote di Lauro Bordin: e no che non lo sapevo.
Marco Pastonesi