“Parte il grande Gastone Nencini”.
Giro d’Italia. I corridori schizzano, scivolano, scorrono. Tappi, anzi, ciclotappi: i tappini di latta delle bibite e, dentro, ritagliate e adattate, le facce dei corridori.
“Nencini ha forato… E Nencini rientra, riesce a recuperare e torna al comando della gara”.
Da piccolo, la pista era scavata nella terra, con le curve leggermente sopraelevate. Da grande, la pista è disegnata nel corridoio di casa, con le curve piatte.
“Fausto Coppi è andato fuori e nonostante tutto cerca di nuovo il recupero… non ci riesce… Nencini affronta una discesa difficilissima, rischia di cadere, ma si salva”.
Lino è un giornalista sportivo, si occupa di calcio, scrive, va in tv. Passione e piacere, poi anche stanchezza e stress. Comincia a perdere colpi. E a perdere la memoria. La diagnosi è spietata: Alzheimer. Ed è così che, piano piano, giorno dopo giorno, Lino torna bambino, ai ricordi e ai giochi dell’infanzia. Ciclotappi. Il Giro d’Italia a portata di mano, sulle punte della dita. E quegli antichi nomi che non si dimenticano mai, che non si dimenticano più.
“Gastone Nencini sulle Cime di Lavaredo, che si avvia a vincere il gran premio della montagna. Passano, nell’ordine, Nencini, Defilippis, Bobet, Koblet, Baldini, Balmamion, Massignan, Magni, Gaul, Van Looy, Coppi, Filippi, Bartali, Vannitsen”.
Tra cinemini d’essai e arene all’aperto, tra Netflix e YouTube, recupero vecchi film. “Una sconfinata giovinezza” è del 2010: scritto, sceneggiato e diretto da Pupi Avati, prodotto da Antonio Avati, con Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri, Lino Capolicchio e Gianni Cavina, Serena Grandi e Erika Blanc. L’Alzheimer è un viaggio – una tappa, verrebbe da dire – senza ritorno, o forse no, forse è un lungo ritorno. Come un bambino che scappa, raggiunge un luogo segreto, e lì rimane, introvabile.
“Lo seguono un gruppo di quattro ciclisti: Gino Bartali, Hugo Koblet, Louison Bobet, Venturelli, Gaul…”.
Nencini è un omaggio di Pupi a suo fratello Antonio. Era il suo ciclista preferito, il suo campione. Pupi ricorda come “lo vedemmo al Giro dell’Emilia dal balcone di casa nostra, in via Saragozza, a Bologna. Antonio quasi cadeva dalla finestra. Nencini mi intrigava: era uno che nella vita ne combinava di tutti i colori, beveva Chianti, fumava le Nazionali, ma poi, in sella, batteva tutti perché diceva ‘io ho il cuore grande’. E con il cuore si vince sempre”.
“Giochiamo alla pista… dai, vieni, che ti insegno”.
Ed è il cuore che salverà Lino nella sua sconfinata giovinezza. L’amore di sua moglie: senza dubbi, senza pretese, senza limiti.
Marco Pastonesi