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di Pier Augusto Stagi | 25/01/2023 | 08:00

Se non è una guerra civile, poco ci manca. Di sicuro è una guerra di civiltà, che va fatta, che va perseguita. È una priorità, per non dire un’urgenza, anche se ad ogni morto sulla strada seguono inchieste ricche di dati, valutazioni, analisi e qualche bella dichiarazione a effetto, poi tutto si ferma, tutto si placa, per restare lì dov’è, soprattutto così come è.

Ogni due giorni muore un ciclista, non necessariamente un corridore, ma un amante delle due ruote, un cittadino della Repubblica che sceglie un mezzo leggero e alternativo alla macchina. Ma sotto le macchine ci finisce, con regolarità inquietante, e la sensazione di una partita che al momento non si riesce a vincere. Se le morti sul lavoro sono due al giorno, le morti in sella alla propria bicicletta sono di poco inferiori. Sono dati impressionanti, che parlano di guerra, di mattanza, di eliminazione diretta che non può andare avanti.

Il presidente federale Cordiano Dagnoni ha parlato della necessità di lanciare una pubblicità progresso con gli assi del pedale: è un’idea, ma non è la soluzione. O meglio, non è l’unica. È un primo passo, anche se due passi in più bisognerebbe farli nella direzione delle istituzioni, dove si legifera, dove i legislatori operano. C’è da modificare con urgenza il codice della strada e l’ex prefetto Roberto Sgalla potrebbe essere l’uomo giusto da delegare e seguire. Va seguito.

SOGNI ROSA. E dire che solo tre anni fa l’Uci era partita con otto formazioni World Tour, tra cui l’italiana Alé: sembrava un salto nel buio, per non dire nel vuoto. “Dura minga, dura no”, che tradotto per chi non è meneghino grosso modo significa non dura, non ce la fanno. Difatti, in pochi avrebbero scommesso sulla crescita esponenziale e vorticosa del movimento femminile. Invece, sono bastate tre stagioni – anche se il 2020 e il 2021 sono state condizionate dalla pandemia -, per spiccare il volo. Le nostre ragazze fanno faville e stanno riempiendo spazi di dominio lasciato dai colleghi maschi, che vivono un delicato cambio generazionale.

Quest’anno sarà un anno record: l’Uci ha registrato 15 formazioni (per il momento è il massimo consentito) nel World Tour rosa, una in più del 2022, ecco perché AG Insurance Nextg (legata alla Quick Step) e Ceratizit, che avevano chiesto una licenza, per il momento restano fuori. Se il team Israel si è assicurato la licenza della svizzera Cogeas, la new entry è la belga Fenix-Deceunick. Poi ci sono dieci formazioni che sono emanazione diretta o d’ispirazione delle corrispondenti squadre maschili: Alpecin, Ef, Fdj, Jayco, Movistar, Dsm, Jumbo-Visma, Trek-Segafredo, Uae e Israel.

Come detto, le nostre ragazze sono indubbiamente punto di riferimento e d’ispirazione per il mondo intero. L’anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato semplicemente straordinario. La regina Elisa Longo Borghini sul gradino più alto della Roubaix, Marta Cavalli principessa di Amstel Gold Race, Freccia Vallone e del Mont Ventoux (più il 2° posto al Giro), poi c’è la divina Elisa Balsamo con le sue nove perle ottenute in maglia iridata (Trofeo Binda, De Panne, Gand-Wevelgem, 2 tappe al Giro, 1 alla Vuelta), oltre al tricolore. E ancora l’oro mondiale di Vittoria Guazzini nella crono Under 23, le vittorie di Chiara Consonni, Rachele Barbieri, Sofia Bertizzolo, oltre all’esplosione di Silvia Persico (bronzi ai Mondiali cross e strada, quinta al Tour). Insomma, abbiamo buoni motivi per poter raccogliere qualcosa di importante anche quest’anno. Sperare è d’obbligo, sognare è una logica conseguenza. Sogni rosa.

IL TOUR FARA’ BENE AL GIRO. Il Tour de France in Italia? Una vergogna! Sono in tanti che hanno storto il naso, perché non si danno i soldi ai francesi, perché abbiamo il nostro Giro e le nostre corse, perché non si sperperano così i soldi pubblici, perché Firenze nel mondo è già abbondantemente conosciuta e non necessità di queste ardite iniziative: perché perché perché… Una tiritera senza fine. Priva
di visione.

Intanto va detto che la Grand Depart - la prima nella storia per il nostro Paese - non è costata uno sproposito: si parla di sei milioni di euro. E poi con questa logica perché ospitare la finale di Champions League? Tanto abbiamo il nostro campionato. Perché chiedere gli europei e i mondiali? Il nostro Paese possiamo promuoverlo lo stesso. Perché organizzare le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina? E soprattutto: cosa centra Milano con le Olimpiadi invernali? Forse crea interesse? Forse crea nuovi flussi di turismo, nuove opportunità o no? Forse il Tour, che è e resta il terzo evento sportivo al mondo, secondo solo ai Mondiali di calcio e alle Olimpiadi che si svolgono però ogni quattro anni, ci può portare turisti e visibilità planetaria, non trovate? Forse è una bellissima cosa anche per noi italiani, che questo grande evento abbiamo visto e imparato a conoscere solo in televisione e per la prima volta ce lo troveremo lì davanti a casa o quasi. Forse, e lo credo per davvero, il Tour può fare bene anche al Giro. Può risvegliare passioni e attenzioni pubblicitarie. Il Tour ha forza, il Giro si può rinforzare.

Editoriale, da tuttoBICI di gennaio

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