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DIECI FACCE DA FIANDRE
di Angelo Costa | 29/03/2024 | 09:20

Pur ritoccato nel percorso, il giro delle Fiandre resta immutato nel significato: per tutti è una classica monumentale, per i fiamminghi un vero e proprio rito. Quest’anno cade nel giorno di Pasqua, ma in Belgio lo sarebbe stato in ogni caso: si calcola che un abitante ogni dieci scenda sulle strade con qualsiasi tempo, che sul percorso il pubblico supererà il milione di presenze e che in tanti non baderanno a spese per assicurarsi i posti a pagamento nei punti chiave della corsa. Corsa di bellezza sopraffina, rito finale della Settimana Santa della bici, il Fiandre che parte da Anversa e arriva a Oudenaarde dopo 271 chilometri propone due strappi in meno rispetto all’edizione scorsa vinta da Pogacar, il grande assente di quest’anno insieme all’infortunato Van Aert: in tutto sono 17 i ‘muri’ da scalare, ai quali si aggiungono sette tratti in pavé, con l’accoppiata Vecchio Kwaremont-Paterberg da affrontare due volte, l’ultima decisiva a 13 chilometri dal traguardo. Ecco le dieci facce che più delle altre possono fare centro.

Mathieu Van der Poel. Vince perché è la classica fatta su misura per lui, perché in cinque edizioni due ne ha vinte e nelle altre non è mai uscito dai primi quattro, perché le prime tre gare gli sono servite a togliere la ruggine. Non vince perché gli avversari cercheranno di isolarlo e spremerlo già lontano dal traguardo.

Mads Pedersen. Vince perché questa classica è il suo terreno di caccia preferito, perché la prima volta ha fatto secondo e l’ultima terzo, perché pur avendo perso Stuyven ha la squadra ideale per imporre la corsa. Non vince perché chi resterà con lui nel finale farà di tutto per non arrivare allo sprint.

Matteo Jorgenson. Vince perché sta vivendo il suo periodo migliore, perché con le corse del Nord ha già dimostrato di avere un ottimo feeling, perché in assenza di Van Aert ha l’intera squadra a disposizione. Non vince perché correre da favorito è molto diverso che correre da outsider.

Matej Mohoric. Vince perché è uno dei pochi ciclisti buoni per tutte le classiche, perché in vista della campagna del Nord si è spremuto il giusto, perché ha fondo e regge bene sugli strappi. Non vince perché in questa classica non è mai stato davanti e qui basta un attimo per perdere il treno giusto.

Alberto Bettiol. Vince perché è tra quelli che in questo albo d’oro ci sono già finiti, perché questa è la classica che ama di più, perché fra Milano-Torino e Sanremo ha ritrovato l’estro per far corsa di testa. Non vince perché le corse che gli riescono meglio sono quelle in cui non te l’aspetti.

Tim Wellens. Vince perché ama questo genere di corse, perché senza il suo capitano Pogacar è libero di esprimere se stesso, perché quest’anno sui muri ha sempre fatto corsa di testa. Non vince perché andar forte come apripista non è la stessa cosa che andar forte per battere tutti gli avversari.

Stephan Kung. Vince perché è cresciuto silenziosamente nell’ombra, perché ha la stazza e la resistenza per andar forte sul pavé, perché trent’anni sono l’età giusta per lasciare finalmente un segno importante. Non vince perché spesso corre davanti, ma gli unici traguardi li ha centrati soltanto a cronometro.

Kasper Asgreen. Vince perché anche lui c’è già riuscito, perchè questa è la classica che gli riesce meglio di tutte, perché con Alaphilippe è il più indicato a portare un po’ di luce nella buia stagione della Soudal. Non vince perché fin qui è rimasto lontano dal successo e un segnale avrebbe dovuto darlo.

Michael Matthews. Vince perché nonostante strappi e pietre questa è una classica nelle sue corde, perché ha la maturità per correre senza sprecare energie, perché il secondo posto a Sanremo gli ha lasciato una grande voglia di riscatto. Non vince perché la sequenza di muri nel finale alla lunga finisce per stroncarlo.

Matteo Trentin. Vince perché è uomo da corse dure, perché se le classiche fossero solo tenacia e forza di volontà sarebbe già in qualche albo d’oro, perché con Albanese e Mozzato rappresenta l’Italia che può sorprendere. Non vince perché se nelle grandi classiche al massimo hai fatto decimo qualcosa ti manca.

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