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ROBERTO BETTINI, 45 ANNI DI FOTO MAGICHE: UNA STORIA COMINCIATA CON SARONNI...
di Alessandro Brambilla | 29/06/2020 | 07:52

E’ il 29 giugno 1975, al Parco di Monza si corre il Gran Premio Fiera di San Giovanni riservato a dilettanti di terza serie e juniores. I partenti sono numerosi e qualificati, organizza la Ciclisti Monzesi, sul palco lo speaker è Dante Brambilla. La gara in onore di San Giovanni (la sua giornata è il 24 giugno, a Monza lo si festeggia tutta la settimana) è velocissima e nel finale evadono Guzzon e Corno, entrambi del team Waja Gorgonzola, e il favorito della corsa, Giuseppe Saronni, alfiere della Società Ciclistica Buscatese. Saronni trionfa allo sprint davanti a Guzzon e Corno. A fotografare la volata c’è anche un ragazzo di Milano, ha 14 anni e 8 mesi. Si chiama Roberto Bettini, scatta la sua prima foto ad un cimento ciclistico ed è presente al Parco di Monza accompagnato dal suo mentore Gianfranco Soncini che all’epoca è già un famoso poeta dell’immagine nel «barnum» delle due ruote. Dal debutto di Roberto da fotografo del ciclismo sono quindi trascorsi 45 anni. «Come vincitore sono contento di aver tenuto a battesimo Roberto Bettini che è poi diventato uno dei principali fotografi del settore», ha dichiarato Saronni.

«Non potevo scegliere un debutto migliore, col successo di un corridore della classe di Saronni - esclama  Roberto Bettini, che è nato a Milano il 22 ottobre 1960 e ora vive con la moglie Paola a Cuggiono -. Sono grato a Soncini: mi portò con sé perche sapeva che studiavo ottica. Poi per qualche anno sono andato anche a lavorare nel bar che Gianfranco aveva nei pressi della Fiera di Milano. Oltre ad esserne aiutante nella gestione del bar, ero diventato il suo principale collaboratore come fotografo alle gare. Ho anche frequentato una scuola serale per fotografi».

Bettini non faticò ad imporsi con la macchina fotografica seguendo le competizioni ciclistiche soprattutto in moto, e nel 1977 debuttò ad una gara professionistica. Si trattava del Trofeo Laigueglia, che Freddy Maertens in maglia da Campione del Mondo vinse davanti a Saronni. «Oltre a fotografare i corridori la mia collaborazione con Soncini si estendeva all’uso del fotofinish, con l’aiuto di mio papà Emilio».

Nel 1983 ad Altenrhein, in Svizzera, Roby ha scattato le prime fotografie ad un Mondiale. «Ci andai per scattare a Roberta Bonanomi e Imelda Chiappa, che correvano nell’Associazione Sportiva Merate. Erano stati i dirigenti della "Merate" a portarmi in Svizzera». In effetti nelle gare giovanili  e in quelle femminili la mole di lavoro del giovane Roberto era aumentata. «Mi ero messo altresì a lavorare per la Federazione Ciclistica Italiana, per costruttori di bici e sponsor vari di squadre ed eventi di ciclismo».

Roberto ha decollato poco dopo: «Ancora per merito di Soncini che mi portò a fotografare, regolarmente accreditato, ai Mondiali su strada e pista 1985 in Veneto dove conobbi Cesare Galimberti dell’agenzia Olimpia. Colui che tutti conoscono come "Cesarino" m’insegnò moltissimi segreti del mestiere. Mi fece poi diventare il riferimento dell’Olimpia nel ciclismo, praticamente al suo posto. L’Olimpia forniva tutte le grandi testate ed era impegnata su più fronti e così grazie a Cesarino diventai in qualche occasione fotografo di Formula 1, basket  e spesso calcio in Serie A, B e C». Nel mondo del "Dio pallone" Roberto ha sempre tifato Milan: «E’ il motivo per cui Galimberti preferiva farmi fare l’inviato sull’ Inter. Quando in campo c’era il Milan tendevo molto a seguire le azioni come tifoso, emozionandomi e fotografando poco; con l’Inter invece ero totalmente concentrato sull’obiettivo».

Il primo Giro d’Italia, a spezzoni, Roberto l’ha seguito nel 1979  e vinse  Saronni. «Dopo alcune edizioni seguite saltuariamente, nel 1987 ho iniziato a lavorare al Giro dall’inizio alla fine, impegnatissimo, in sella alla moto, senza giornate di tregua». Al Tour de France ha debuttato nel 1990. «Solo qualche giornata». E’ il Tour in cui Claudio Chiappucci ha indossato per 8 giorni la maglia gialla, finendolo poi al secondo posto in classifica, preceduto da Greg Lemond. «Dall’edizione successiva ho cominciato a seguire il Tour dal primo all’ultimo giorno, naturalmente con un motociclista a mia disposizione». Della Grande Boucle è diventato fedelissimo: «Nel 2010, al mio ventesimo Tour consecutivo, l’organizzazione mi ha premiato con medaglia».

Naturalmente si è consolidata la collaborazione tra Roberto, La Gazzetta dello Sport e altre grandi testate. «Ho anche prodotto 30 libri – aggiunge Roby con una punta d‘orgoglio – e la rivista Sprint Cycling Magazine. Sono fotografo ufficiale di tuttoBICI e tuttobiciweb fin dal primo numero».

Roberto è logicamente diventato interlocutore privilegiato di Saronni, Moser, Baronchelli, poi Chiappucci, Bugno, Fondriest, Cipollini e tanti altri campioni italiani e stranieri. «Ho nel cuore Bugno poiché quando è lui esploso il ciclismo aveva ancora una dimensione umana, molto basata sui rapporti interpersonali. Adesso ai grandi Giri è praticamente impossibile incontrare i corridori alla sera per scambiare 4 battute, tutti si rintanano nelle loro camere a guardare computer e altro». Roberto ha anche seguito due intere Olimpiadi come fotografo e altre solo in giornate particolari. La classica in cui si diverte maggiormente a fotografare è la Parigi-Roubaix.

Ma in generale qual è la foto più bella che ha scattato?
«Scegliere la più bella è veramente difficile. E’ più facile dire quali foto avrei voluto scattare senza però riuscirci».

Roberto e Paola hanno due figli, Luca e Thomas. Luca è diventato principale spalla di Roberto nell’attività fotografica. Papà continua a fotografare però i grandi eventi, compreso il Tour de France, ora li segue Luca in modo continuativo. Thomas invece è impegnato tutto l’anno come istruttore "Beach Tennis School" e d’estate fa anche il cuoco allo stabilimento balneare che la famiglia Bettini possiede a Punta Marina (Ravenna), il «Bagno Susanna». Naturalmente Roberto Bettini è molto è abile nel gestire i collaboratori: «Al Giro d’Italia come Bettiniphoto lavoriamo in sei, e in ogni giornata siamo impegnati anche 15 ore».

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