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BEAT YESTERDAY. SABRINA SCHILLACI: «LA MIA VITA E' IN SALITA? ALLORA VOGLIO PEDALARLA». GALLERY
di Pier Augusto Stagi | 06/12/2022 | 08:20

Un tuffo nelle acque placide di un lago, con una lenta risalita e la sensazione chiara che in quell’attimo, in quel preciso momento, la vita non sarebbe stata più la stessa. Un tuffo nella notte stellata di Ferragosto, nelle acque brulicanti di luce irradiate da Manerba del Garda. Un tuffo per festeggiare una vita che era da festeggiare, ma che in quel salto sarebbe definitivamente cambiata. «Era la sera di Ferragosto del 2007, eravamo a Manerba del Garda e ad un certo punto Davide, mio marito, ha deciso di tuffarsi per un bagno di mezzanotte - racconta oggi Sabrina Schillaci, premiata al Beat Yesterday Awards di Garmin il 2 dicembre scorso -. Nel momento stesso in cui è riemerso dall’acqua lui era tetraplegico. Una compressione cervicale spacca alcune vertebre. Nel momento in cui è venuto su dall’acqua ha percepito che qualcosa non andava: “ho un tremolio, non riesco più ad allacciarmi l’orologio”, ha sussurrato spaventato. Io pensavo ad una congestione. In realtà, nel momento in cui è arrivato al pronto soccorso, ci hanno detto che sarebbe rimasto paralizzato per tutta la vita. E in quel preciso momento ho rifiutato tutto. Non è vero! Non ci credo! Queste cose succedono solo agli altri! mi dicevo. Invece abbiamo dovuto prendere atto di questa cosa. Trasferito a Sondalo, da li è incominciato questo lungo calvario che è durato dieci mesi. Dieci mesi nei quali mi sono dovuta occupare dell’attività, che ho dovuto comunque mio malgrado chiudere, perché non c’era nessuna possibilità di poterla portare avanti. Mi sono dovuta occupare della casa che ho fatto ristrutturare per una persona che era diventata disabile: meno male che era una villetta, e certe cose le abbiamo potute fare con maggiore facilità». 

Sabrina Schillaci, 54 anni portati con lo spirito di una ragazzina, aveva tutto nella vita. Con pazienza era riuscita a realizzare tutti i propri sogni. Una laurea in architettura appesa in ufficio, con Davide (anche lui architetto, ndr) aveva aperto nel 2000 un negozio di mobili a Lissone, che del mobile un tempo neanche tanto lontano era la capitale. «L’avevamo aperto alla faccia di chi sostiene che moglie e marito è meglio che non lavorino assieme – dice -. Io mi occupavo di clienti, progettazione e vendita, Davide dei cantieri, quindi delle installazioni, dei montaggi e quant’altro».

Sposata con Davide dal 1994, Sabrina era davvero una donna felice: «Sì, lo ero, per davvero. Non potevo pretendere di più e di meglio». In un istante, però, tutto è cambiato. Un battito di ciglia, un colpo di tosse, un tuffo nelle placide acque di un lago e il tempo si ferma. «Non avevo previsto che questi sogni potessero svanire - ci racconta senza un filo di retorica, ma con il tono di chi ha già saputo affrontare lo sconforto e la depressione: lo smarrimento -. La cosa più difficoltosa e difficile è stata quella di accompagnare Davide in questo percorso ignoto, di cui però conoscevamo bene i contorni. Non è stato semplice, assolutamente. Non si può accettare a cuor leggero un responso di questo tipo. Davide, di un anno più grande di me, è sempre stato persona dinamica vivace e piena di voglia di vivere. Da persona normodotata a persona dipendente da tutti anche per bere un solo sorso d’acqua, non è stato per nulla facile. Per me straziante e doloroso, per lui inaccettabile, difatti non l’ha accettato. Con lui di notte e di giorno, per me era angosciante. Io forte, io coraggiosa, io tenace e testona, io presente, io cosciente, non ho potuto mai davvero metabolizzare questa cosa. Non ne ho avuto il tempo, non ne ho avuto i modi. Ho retto fin quando ce l’ho fatta, come un maratoneta che corre per forza d’inerzia più di testa che di gambe, ma quando Davide da Sondalo è stato trasferito a casa lì, in quel momento c’è stata la resa. Quasi incondizionata. Da parte sua e mia. Si è aperta una porta e si è chiuso tutto il resto. Lui ha gettato completamente la spugna e io mi sono lasciata andare. I medici volevano che io prendessi qualcuno che si occupasse di lui, ma io mi sono rifiutata perché sapevo che se Davide si fosse trovato un estraneo in casa, si sarebbe sentito ancora di più un disabile, ma in realtà questa cosa mi è tornata contro. Dopo diversi anni di rabbia e disperazione, ad un certo punto mi sono lasciata andare e ho spento tutti gli interruttori: vitalità, emozioni, ho cominciato a vivere come un automa. Ovviamente il nostro rapporto si è incrinato, perché lui non accettava questa nuova situazione e io non accettavo che lui si rifiutasse di accettare».

Nel 2012 Sabrina e Davide sono in pratica alla frutta. Il loro rapporto è giunto al capolinea. Ma nella vita ci sono gli attimi, che possono spegnere i sogni ma anche rivitalizzarli. L’attimo è dato da un viaggio, che Davide e Sabrina decidono di fare: lontano da tutto e da tutti. Una fuga verso l’ignoto, soprattutto verso l’invisibilità. «Un week-end a Nizza, per cambiare aria e provare a stare lontano da occhi e discorsi. Lontano da chi si conosce, da chi ci compativa - mi spiega Sabrina -. A Nizza non c’eravamo mai stati e questo era un buon motivo per andarci. Mare, sole, una cittadina vitale e accogliente. Alla domenica mattina, visto che non ho più sonno, mi alzo e vado a fare una camminata. È ancora buio e scopro un mondo vitale e silenzioso, che è già in movimento. Il mio animo è quello di una donna che cerca di farsi del male, ho il desiderio neanche tanto nascosto di essere dissolta, che cerca la forza di procedere verso il desiderato e liberatorio “cupio dissolvi”, ma è in quelle tenebre che di lì a poco avrebbero lasciato spazio alla luce dell’alba che sono rinata. Che qualcosa si è mosso dentro di me. Vedo che in cima al promontorio che sovrasta Nizza, tanta gente assiepata al parapetto. Salgo, raggiungo la cima, mi intrufolo tra quelle persone per scorgere quello che stanno guardando. I loro sguardi sono tutti verso il mare, dove schierati ci sono tantissime persone, con le loro “armature”, le loro mute: sono i partecipanti all’Iron Man di Nizza.  È in quel momento che mi sono detta: anch’io! Lo farò anch’io!».

Sabrina non è mai stata una sportiva: qualche partita a tennis giusto per muoversi un po’. Ora, però, sente il richiamo della competizione: della sfida. Ha voglia di mettersi in gioco. Di tornare a vivere. «Se divento supereroe come quelle persone, sarò capace di affrontare tutto - mi dico -. Per cui sono tornata in albergo entusiasta, ho svegliato mio marito e gli ho dettio: ho deciso che voglio fare l’Ironman. Ovviamente lui non ha preso assolutamente in considerazione questa cosa, siamo tornati a casa, ma io ho cominciato ad elaborare l’idea. Voglio farlo! Così ho cominciato ad allenarmi. Quando mio marito ha capito che facevo sul serio, si è messo contro, per paura di perdermi. Io ho insistito. Mi sono fatta regalare per il mio compleanno una bicicletta usata Tarmac della Specialized, di taglia errata perché il negoziante non era affatto convinto che io potessi intraprendere un’attività così dal nulla. Per la serie: ma dove vuole andare questa qui? Oggi ho una Wilier Triestina e nel 2015 ho fatto il mio primo mezzo Ironman a Pescara e mio marito era raggiante, più emozionato di me: oggi è il mio primo tifoso. E tutta l’energia che prendo nell’allenamento e nelle competizioni, le trasferisco nella coppia, che è rinata. Che ora c’è!».

Nel 2016 Sabrina corre l’Ironman a Zurigo e nel 2017 paga il suo pegno anche con Nizza. «Lì avevo un conto in sospeso - prosegue nel racconto Sabrina - e ci sono tornata per correre, per essere anch’io della partita. Ricordo che nelle settimane di preparazione, quelle che hanno preceduto la gara, mi sono trovata a pedalare per 6-8 ore e, come spesso si dice, i pensieri in sella alla propria bicicletta sono più lucidi. Ho ripensato alla mia vita e mi sono sorpresa del fatto di non sentirmi più arrabbiata. Invece della rabbia c’era la gratitudine: mi sentivo grata per avere avuto questa nuova occasione, quella di ricominciare a vivere in maniera appassionata, dando un valore alla vita, cosa che prima davo per scontato. In quel momento - perché i momenti ci sono sempre - ho deciso che avrei fatto qualcosa per aiutare chi si occupa di disabilità. Così ho cominciato a frequentare gli ospedali, mi sono resa utile ai tanti bambini che si trovano nella stessa situazione di Davide. E così è nata anche l’idea di pedalare da Besana Brianza, dove vivo, a Santiago di Compostela. Davide (Citterio, ndr) mi ha accompagnato nelle prime due tappe, poi io ho proseguito fino ad Asti con una cinquantina di persone, che  sono diventate venti in Provenza e alla fine siamo rimaste io e una mia amica: 2200 km, che hanno fruttato alla “Come Collaboration Onlus” diverse risorse».

Oggi Sabrina prosegue le sue iniziative benefiche, che rientrano tutte nel progetto “Race Across Limits”. Nel frattempo è anche diventata una coach professionista, che ha cominciato inizialmente «per capire me stessa, per comprendere quali fossero stati i meccanismi che mi avevano portato alla rinascita, insomma l’ho fatto per comprendere me stessa, adesso però mi sono messa al servizio degli altri, il più delle volte “pro bono”».

Dopo Santiago, ha fatto un vero e proprio Giro d’Italia in bicicletta, ed è filata via poi fino a Polignano. Si allena una-due volte al giorno, tutti i giorni. Da prevalenza al ciclismo, anche se non ha abbandonato di fatto le gare di Triathlon. «Se è per questo mi sono qualificata anche ai mondiali di mezzo Iroman a Samorin per il 2023, e ci andrò in bicicletta. In tutti questi anni sono riuscita a far donare oltre 60 mila euro, ma questo è solo l’inizio».

Davide, intanto, è tornato a lavorare nell’azienda di famiglia (mobili per ufficio, ndr) e sprona Sabrina a migliorarsi, a proseguire i sui viaggi. «Viaggi che servono alla causa - dice -, ma soprattutto a noi stessi, che dobbiamo sistemarci l’anima. Adesso, però, voglio terminare le strade delle Grandi Alpi (700 km, 21 colli, circa 30.000 metri di dislivello, ndr): al momento ne ho fatti la gran parte, anche se mi aspetta tutta la parte verso Ginevra. E poi andrò avanti con la mia attività solidale, difatti sotto le feste regaleremo tre saturimetri al reparto di pediatria dell’ospedale di Sanremo. E poi c’è sempre questa volontà di pedalare. Più che tanti chilometri, faccio tanta altimetria: se la mia vita deve essere in salita, allora la voglio pedalare. Fino in cima. Fino in fondo. Sempre».

   

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