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BONTEMPI. «OGGI TROPPA SPECIALIZZAZIONE, IO ERO VELOCISTA, GREGARIO E...»
di Alessandro Brambilla | 20/01/2021 | 08:05

Guido Bontempi è uno dei migliori passisti veloci espressi dal ciclismo italiano. E’ un neo-sessantunenne con aspetto da eterno giovanotto: «Mi tengo in forma praticando spinning», fa notare “Guidone” da Gussago, 81 vittorie ottenute su strada da professionista, quasi tutte allo sprint gareggiando con le maglie di Inoxpran, Carrera e Gewiss. «Mi sento spirito e voglia di fare di un trentenne», assicura Bontempi che ha corso nella massima categoria dal 1981 al ’95. In seguito ha fatto il direttore sportivo in team importanti e ultimamente il pilota di motostaffetta. «Forse continuerò guidare la moto nelle gare definite da Ciclismo Cup - dice il vincitore di due Gand-Wevelgem, 4 tappe alla Vuelta a Espana, 17 al Giro d’Italia, 7 al Tour de France, contando pure le cronosquadre – mentre relativamente alle corse Rcs per quest’anno ho deciso di riposare. Ne riparleremo nel 2022».

Sei un ragazzo prodigio: nella prima stagione da professionista hai vinto Ruota d’Oro, due tappe alla Vuelta a Espana e una al Giro d’Italia indossando pure la maglia rosa.
«Ho dimostrato che uno sano e forte già a 21 anni è in grado di lottare coi migliori nel professionismo. Ero agevolato dal fatto che in squadra eravamo in pochi e dovevamo coprire tutto il calendario, quindi con più possibilità di esprimere il mio potenziale».

Nel ciclismo attuale esiste un Guido Bontempi?
«Non esiste. Ora chi è velocista fa solo il velocista. Una squadra che punta a vincere la classifica generale di un grande Giro i velocisti li lascia a casa, preferiscono puntare su gregari passisti scalatori. Io da velocista ho vinto tappe nei grandi Giri aiutando Battaglin a vincere la Vuelta e il Giro d’Italia 1981, Visentini a trionfare al Giro 1986, Roche al Giro e Tour de France 1987, Berzin maglia rosa finale al Giro 1994. Non c’è chi fa altrettanto adesso».

E poi c’era un altro importante stimolo per te e gli altri passisti veloci.
«Certo: i guadagni. Nel ciclismo del 2021 uno vince due corse e già firma contratti da centinaia di migliaia di Euro. Nel mio ciclismo non era così e per guadagnare bisognava aiutarsi veramente tra compagni di squadra, a prescindere dalle attitudini. Era un ciclismo più professionale in cui la tabella premi della squadra aveva rilevanza».  

Nel periodo alla Carrera hai chiesto al manager Boifava di infoltire la squadra di passisti - apripista per le tue volate?
«No. Boifava mi ha fatto correre con Perini, Leali e Ghirotto: come treno mi bastava. Di loro tre mi fidavo ciecamente e siamo rimasti grandi amici».

Con un treno apripista più numeroso magari avresti vinto più classiche e tappe ai grandi Giri?   
«A me bastavano gli scudieri che quella Carrera mi concedeva. Oltre alle tappe dei grandi Giri e alle due Gand-Wevelgem, trionfavo in gare come Coppa Bernocchi, Tre Valli Varesine, Parigi-Bruxelles e altre».

Anche per merito di Chiappucci versione gregario ?
«Certo. Mi aiutato a vincere ad esempio la tappa al Giro del Trentino del ’93. In linea di massima Chiappucci nelle gare a tappe lottava per vincere in classifica generale, quindi negli arrivi per velocisti non si metteva davanti a correre rischi».

In occasione delle tue vittorie alla Gand-Wevelgem e altre gare in Belgio e Francia ci sono state scintille tra te e Vanderaerden. E’ lui l’avversario più ostico che hai avuto  ?
«Direi che nelle gare adatte a noi, negli ultimi chilometri ognuno faceva il suo interesse e non esisteva il più cattivo. Invece nelle tappe di montagna quando noi velocisti formavamo il gruppetto di coda diventavamo amiconi. In ogni caso nelle volate degli Anni ’80-90 si cadeva meno di adesso».

Nel tuo ciclismo si arrivava alla Milano - Sanremo iniziando la stagione a metà febbraio. Adesso il velocista comincia a correre al 20 gennaio. Ti sarebbe andato bene un calendario simile?
«Per me il miglior allenamento è sempre stata la gara. Arrivare alla Sanremo con più gare nelle gambe avrebbe fatto benissimo a tutti. Gareggiare maggiormente significa fare di più la vita da corridore, ovvero con l’assistenza costante di un massaggiatore e la garanzia di altri servizi che a casa non avrai mai se non ti chiami Froome o Sagan».

Nella cronometro conclusiva del Giro d’Italia ’92, Vigevano-Milano, 66 chilometri, sei arrivato secondo, battuto da «Re Indurain». E in altre crono sei andato forte.
«Sottolineo che quando correvo io al Tour o al Giro era normale disputare una cronoindividuale di 66 chilometri. Adesso quando le inseriscono di trenta sembra che crolli il mondo. E’ un vero peccato che il Campionato del Mondo della cronoindividuale sia nato quando ero in finale di carriera. Io ho disputato 12 Giri d’Italia e 11 Tour, arrivavo ad agosto in forma super. Se ci fosse stato a fine agosto anche il Mondiale a cronometro quando avevo 25-30 anni, con 15 giorni di preparazione avrei puntato al risultato importante».

Da professionista hai conquistato due medaglie d’argento ai Mondiali su pista; nel 1981 ti ha battuto Clark nel keirin, e nell’83 Freuler nella gara a punti. Troppo forti Clark e Freuler ?
«Quella di Clark è stata la vittoria dell’esperienza. Freuler invece mi ha battuto perché quella gara era condizionata da alleanze tra i principali seigiornisti».
Anche tu sei stato seigiornista.
«Nel 1984 quasi vincevo quella di Milano in coppia con Thurau. Mi piaceva partecipare alle Sei Giorni soprattutto negli ultimi anni di carriera, all’estero, perché rappresentavano un buon allenamento. Erano impegnative e io mi accontentavo di piazzarmi a metà classifica. Lottare per la vittoria diventava durissimo e io dovevo pensare all’attività su strada».

Riavvolgendo il nastro della carriera hai dei rimpianti? 
«In alcune occasioni mi è mancato il giusto egoismo».

Foto credit: @BettiniPhoto

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