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CASSANI FA 60. «SOGNI NE HO ANCORA E UNO E' TUTTO D'ORO...»
di Pier Augusto Stagi | 01/01/2021 | 08:30

Il traguardo dei Sessanta lo taglia oggi, 1° gennaio. Gli anni passano, ma non gli pesano: «Che regalo mi farò? Quello che mi faccio ogni anno per il mio compleanno: un bel giro in bicicletta di almeno 60 chilometri».

Davide Cassani, ex corridore professionista, commentatore televisivo per diciotto anni e dal gennaio 2014 Ct della nazionale, come al solito è in viaggio: destinazione Montichiari, dove ci sono in ritiro i ragazzi della pista.

Sessanta, una bella cifra…
«Ho capito di non essere più un ragazzino l’altro giorno, quando sono entrato in un supermercato. C’era un cartello: per i sessantenni sconto del 10%. Sono soddisfazioni…» (ride).

Che regalo ha ricevuto a Natale?
«Dell’intimo e poi un bonus per vivere una esperienza alla Pagani Auto di San Cesario Sul Panaro: ho ricevuto il messaggio direttamente da Giancarlo Fisichella: ti aspetto in pista!».

Soffre ancora di incubi notturni?
«Molto meno. Tutto nasce da un brutto incidente del 1973. Papà trasportava con il suo camion vino in giro per tutta Italia ed ebbe un solo incidente nella sua vita: c’ero anch’io. Avevo solo 12 anni e facemmo un frontale con un’auto. Io stavo dormendo e mi svegliai di soprassalto: da quel giorno, tutte le notti, ho gli incubi. Chie­da a Maurizio (Fondriest, ndr) quando lo buttai giù dal letto in piena notte alla vigilia del mondiale del ’93. In preda agli incubi stavo sognando che il soffitto stava crollando sulla sua testa, così nel sonno mi sono alzato di scatto e l’ho buttato giù dal letto per salvarlo».

La maglia azzurra è un dolce sogno.
«Da sempre. Era il sogno di mio papà».

Viene dalla scuola di Al­fredo Martini, un Magnifico rettore in materia ciclistica.
«Lui è stato il mio punto di riferimento. Se penso alla Nazionale, non posso non pensare a lui, che per me aveva qualcosa di magico e magnetico: bastava che si accostasse con l’ammiraglia al mio fianco e io mi sentivo già più forte e invulnerabile. Mi sono innamorato dei Mon­dia­li e dell’azzurro in occasione di Imo­la ’68: quel volo di Vittorio Adorni ce l’ho ancora negli occhi».

Il 2020 è stato un anno da incubo?
«Direi piuttosto un anno problematico, difficile, ma nel quale il ciclismo ne è uscito molto bene, anche rafforzato, riuscendo a salvare gran parte della stagione e a vincere cose importanti come l’europeo con Giacomo Nizzolo e la maglia iridata della crono con Filippo Ganna. Questo per quanto riguarda il professionismo, per il settore giovanile non le nascondo che sono un pochino più preoccupato».

Ganna è stato secondo lei l’uomo dell’anno?
«Sicuramente».

Dove può arrivare un corridore come Filippo?
«Molto in alto, io gli auguro di poter ripercorrere una carriera alla Fabian Cancellara: sarebbe già tanta roba».

Con l’inizio dell’anno si azzera tutto, ma non ricominciamo da zero: su cosa possiamo puntare?
«Su Vincenzo Nibali che resta la nostra stella polare. Sul recupero di Fabio Aru, perché io ci credo. Sulla crescita di tanti ragazzi come Ciccone, Andrea Bagioli, Battistella, Affini, Dainese, ma anche e soprattutto Gianni Moscon che ha tutto per fare benissimo. E poi ci sono Nizzolo, Viviani, Trentin, Formolo, Diego Ulissi che deve superare un problema fisico (miocardia, ndr) e sono certo che ci riuscirà. E ancora Fabbro, Covi, Conci…».

È ottimista…
«Sempre».

Sessantanni, si gira e vede…
«Un bimbo che ama la sua bicicletta e si esalta per le vittorie di Felice Gimondi, come il suo papà. Vedo un bimbo che sogna la Sanremo e la maglia azzurra e che la prima volta che la indossa tra i dilettanti, si mette davanti allo specchio e si sente un campione, ben sapendo di non esserlo. Mi vedo accanto ad Adriano De Zan, grazie a Marino Bartoletti che mi porta in Rai. E poi spalla di Auro Bulbarelli e Francesco Pancani. Poi con Alfredo Martini, che un bel giorno mi dice: “Adesso tocca a te…”. E poi quella mano affaticata e stanca di Alfredo che, con gli occhi umidi di commozione, stringe la mia e mi guarda con un flebile sorriso per l’ultima volta, felice per la vittoria al Tour di Vincenzo Nibali. Mi vedo con i ragazzi azzurri, che tanto hanno fatto in questi anni, onorando come nessuno quella maglia che per me è sacra. E poi Imola, quest’anno, come una sorta di chiusura del cerchio, con il titolo mondiale di Ganna».

Sportivamente parlando quale è il suo incubo?
«Rio, quella dannata discesa che ha tolto il sogno olimpico a Vincenzo Nibali, che stava facendo qualcosa di pazzesco. Ma è un incubo anche andare ad una corsa senza avere la possibilità di vincerla: grazie al cielo ho ragazzi che si sono sempre superati».

E Marco Pantani?
«Quello non è un incubo, è un brutto sogno. Purtroppo ci si sveglia e la realtà è ancora dura da accettare. Marco mi ha regalato emozioni uniche, per questo abbiamo acquistato all’asta una sua bicicletta (66 mila euro, ndr), che il 13 gennaio, giorno del suo compleanno, andremo a donare a mamma Tonina e papà Paolo, affinché possa essere esposta e cistodita al Museo di Cesenatico».

Il 2021 sarà la fine di un incubo?
«Mi auguro di sì, ci sono tutti i presupposti perché lo possa essere».

Tra sogni e incubi, ci sono anche favole ricorrenti: il suo nome accostato alla direzione del Giro d’Italia. Cosa c’è di vero?
«Niente. Sono almeno quattro anni che circola questa storia e io continuo a smentire, ma nessuno mi crede. Cosa vuole che le dica? La gente ama le favole».

E lei i sogni…
«Ne ho uno bellissimo: è tutto d’oro».

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