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VERSO LE ELEZIONI. LA SICUREZZA NON VOTA MA POSSIAMO VOTARLA NOI
di Silvano Antonelli | 06/11/2020 | 07:50

È tempo di rinnovo degli organismi federali. Nelle prossime settimane si svolgeranno  le assemblee provinciali, poi quelle regionali entro gennaio, ed infine quella nazionale il 14 febbraio. Tempo quindi di candidature e di programmi.

Non mancheranno certo gli elenchi dei buoni propositi e delle belle promesse, magari non tutti accompagnati dalla capacità di perseguirli davvero. Non disperiamo e ragioniamo comunque in positivo, perché il nostro mondo contiene sicuramente le potenzialità per migliorarsi e rinnovarsi. Le candidature sono a titolo individuale ed il primo auspicio è che siano avanzate almeno da persone perbene, non improvvisate, culturalmente adeguate, che abbiano dimostrato di saperci fare e che, una volta finita la campagna elettorale, sappiano attorniarsi delle competenze migliori e avvalersi degli esempi più significativi, per mettere a frutto senza pregiudizio tutte le risorse di cui il nostro ciclismo è ricco.

Ogni candidato avrà un proprio ordine delle priorità, a tutti però, sin da ora, possiamo anticipare il nostro interesse di conoscere quale attenzione vorranno riservare ai temi della sicurezza e alla necessità di aggiornarla alla evoluzione dei tempi, alle nuove criticità, per la qualcosa, insieme alle possibili nuove soluzioni, sarà fondamentale capire a attivarsi per far rispettare quelle che già esistono.

C’è un codice della strada che non recepisce appieno l’importanza e la specificità del ciclismo, che andrebbe aggiornato con: 1) l’assegnazione di maggiori poteri alle scorte tecniche; 2) norme di protezione degli atleti in allenamento; 3) semplificazione delle procedure per il rilascio di autorizzazioni ed ordinanze. Soluzioni caldeggiate da più parti e tecnicamente esposte in più occasioni, non ultime le tante edizioni del Giorno della Scorta. Purtroppo non ascoltate a dovere, oppure solo apparentemente condivise, visto che poi, la nostra Federazione, da 15 anni a questa parte,  non ha trovato la capacità politica di incidere in nessuna delle tante occasioni in cui il Parlamento ha messo mano al Codice.

Stessa sorte per un'altra grande questione: la necessità di una informazione istituzionale da parte della presidenza del Consiglio e dei ministeri interessati, che aggiorni e spieghi gli utenti della strada sul come comportarsi quando s’incrocia una gara ciclistica. Lo si è detto mille volte, diciamolo ancora: anche i ciclisti meritano la loro “Pubblicità Progresso”, la loro campagna “salva vita”, utile anche di chi con la gara non c’entra nulla e nulla deve subire in termini di danni o disagi.

Dobbiamo riuscirci, sfoderando quella determinazione che fino ad oggi è mancata e che non ha saputo spendere tutto il credito che le nostre società hanno accumulato in fatto di autodeterminazione e responsabilità nell’arginare i pericoli della pratica ciclistica.

Così come per un'altra annosa questione, quella della necessità di frequenze VHF a disposizione per gli addetti alla sicurezza delle gare ciclistiche, che il Ministero dello Sviluppo Economico dovrebbe concedere a condizioni agevolate e/o assunte in carico dalla FCI.

Su questo tema occorre essere chiari e smetterla di tenere la testa sotto la sabbia. Queste frequenze servono come il pane, indispensabili per il coordinamento ed il posizionamento delle scorte senza intasare (del resto proibito) i canali di radio-informazione. Servono al punto che troppi motociclisti le utilizzano abusivamente, non essendo in grado di permettersi i costi di una regolare concessione.

Per le gare professionistiche la Lega dispone di queste frequenze, ma per tutte le altre gare la Federazione non ha mai provveduto. E’ una situazione da colmarsi quanto prima, giacché la sicurezza non può avere differenze di categoria.

Lo pretende anche il nuovo disciplinare tecnico con le sue significative richieste  di maggiore efficacia delle scorte, a cui la nostra Federazione dovrebbe corrispondere maggiormente con alcune modifiche ai propri regolamenti, togliendo ingiustificati limiti di età ed introducendo misure di migliore governo delle corse e maggiore visibilità al transito della carovana.  

Introdurre l’obbligo di incontri annuali sulla sicurezza per gli atleti delle categorie giovanili, che non possono essere “buttati” nelle corse in linea senza sapere dove stanno i pericoli e come la scorta agisce per evitarli.

Altra avvertenza è la necessità di avviare la sperimentazione di gare su strada in cui gli atleti abbiano l’obbligo di superare le rotonde esclusivamente alla propria mano (per non appesantire il lavoro della scorte e degli ASA), oppure occupare la sola carreggiata di destra come nel triathlon, i cosiddetti percorsi a bastone, su tratti di strada per i quali sia più facile ottenere l’intera chiusura al traffico.

Sperimentazioni utili per la ricerca di nuovi margini di sicurezza per gli atleti, per l’operatività delle scorte, per le responsabilità degli organizzatori, senza  schiacciarsi sulla tradizionale dicotomia tra circuiti chiusi o gare in linea senza alcun limite.  

Sicurezza per la quale, alla necessità di nuove di nuove norme, regole e leggi, occorre saper aggiungere  la volontà e la cultura di applicare quelle che già esistono, che sono tante, che abbiamo voluto pervicacemente. Una sorta di conquista del già conquistato.

Un discorso che non può che investire soprattutto la categoria dei direttori di corsa, figura principe nel compito di coniugare, insieme alla specificità della gara, la tutela degli atleti, la correttezza organizzativa, il rispetto delle autorizzazioni e delle ordinanze, la valorizzazione dell’invento e dell’investimento, senza creare danni o ingiustificati disagi alla circolazione stradale. In altri termini: la sicurezza nella sua eccezione più ampia, intrisa della personale volontà, professionalità e coscienza di volerla realizzare fino in fondo.

Un compito assegnato in primo luogo alle commissioni dei direttori di corsa, che però, in questi anni non è stato svolto adeguatamente a partire da quella nazionale, che necessità di due correzioni.

1) La presidenza deve tassativamente appartenere ai direttori di corsa. Al di là degli autorevoli profili personali che si possono riconoscere, la questione è di principio: lo esige lo statuto, lo esige il buon senso ed ogni altra soluzione non può che indurre a ritenere che la categoria dei direttori di corsa non abbia le capacità per esprimersi all’altezza della missione affidata. Che non abbia neppure l’autonomia di farlo, con scadimento delle relazioni e delle possibilità d’intreccio con la vita vera della categoria, da cui trarre costante impegno di gestione, ricerca e proposta.

2) Alla CNDCS va restituita la responsabilità di tracciare i profili della formazione e delle diverse modalità di poterla sostenere, seppure didatticamente condotta dal settore studi e di concerto con le regioni, le quali, insieme a limiti, vantano anche capacità straordinarie ed esempi virtuosi da cui prendere spunto.

La formazione è la ricerca dell’insufficienza abbinata al progetto di superarla, e se i componenti della CNDCS sono esautorati dal farlo, le conseguenze non saranno che di un tipo. Appunto, come quella che abbiamo visto ricadere sulle commissioni regionali,  omologate a livelli di attività minima, di quasi sola organizzazione dei corsi di abilitazione e aggiornamento, di scontata ripetitività, raramente abbinata alla volontà di capire come stanno veramente  le cose e di come correggerle verso il meglio.

Qualcosa di più, tipo convegni, incontri con organizzatori e giudici, lezioni ai giovani corridori, sarebbe auspicabile, ma questo è molto raro, inibiti spesso da una gestione della formazione che il Settore Studi predilige accentrata e banalmente standardizzata.

In mezza Italia si organizza senza rispettare il disciplinare tecnico, con moto in numero insufficiente, senza radio e conducenti privi di tessera federale, transenne come optional, niente ASA, talvolta senza l’acquisizione completa di autorizzazioni ed ordinanze, più spesso senza conoscere il significato delle prescrizioni in esse contenute. 

A tutto questo dovrebbero sovraintendere le commissioni regionali, portandosi là dove si gareggia, per osservare, esaminare, non con lo spirito degli “sceriffi”, ma per capire dove e come intervenire, come e dove aiutare i direttori di corsa e gli organizzatori, assolvendo in toto alla propria missione.

Poi, quando capita il fattaccio, la disgrazia grave, tutti a sputar sentenze, dimenticando tutte le volte che abbiamo girato altrove lo sguardo facendo finta di non vedere, perché la cosa non ci riguardava direttamente, perché ad essere coinvolto non era il nostro corridore, perché la convenienza del rimborso consigliava di tacere, perché l’organizzatore ci ha liquidati dicendo che l’eventuale multa l’avrebbe pagata lui. Situazioni che per fortuna non offuscano oltremodo la qualità media dei nostri direttori di corsa, molti dei quali davvero bravi, seri e scrupolosi, con vantaggio e lustro della categoria, anche se gradualmente non più sostenuta come altre.

Ne servirebbero di più e professionalmente ben strutturati, cosa attuabile e ottenibile aggiornando le pratiche del loro reclutamento, oggi fatto in modo troppo ordinario, come fossero delle semplici figure tecniche, dove il peso delle responsabilità ha un effetto scoraggiante, non controbilanciato da una consistenza e autorevolezza di ruolo, di autostima, che l’attuale formazione federale non coltiva più da tempo nelle sue declinazioni motivazionali e psicologiche.

La sicurezza ha fortissimamente bisogno di loro così come di un impegno etico di tutti noi: quelli che stanno nelle corse e, oggi più che mai, quelli che si propongono di governare la nostra Federazione, di ogni livello e grado. 

Aiutiamo il nostro ciclismo, società, atleti, organizzatori, recuperando la volontà del dialogo e dell’ascolto.

 

 

 

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