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SCIANDRI. «CARAPAZ E UN GIRO D'ITALIA CHE SENTO MIO»
di Carlo Malvestio | 26/06/2019 | 07:42

Maximilian Sciandri ha da poco concluso il suo primo Grande Giro con la Movistar. E l’ha vinto. Dopo otto anni in BMC, il direttore sportivo italo-britannico si è tolto la soddisfazione di vedere un suo corridore trionfare al Giro d’Ita­lia. Da corridore era un ottimo interprete nelle corse di un giorno, ma ora si trova in squadra che fa delle corse di tre settimane il terreno di caccia preferito. Lo scorso inverno era stato accolto come colui che avrebbe dovuto dare una scossa a Nairo Quintana. Sul colombiano c’è ancora tempo per dare giudizi, ma intanto è un ecuadoriano ad aver rubato le luci della ri­balta. E dietro a questo exploit c’è anche la firma in stampatello maiuscolo di Sciandri.

Che Carapaz fosse forte si sapeva, ma ve lo aspettavate così forte?
«Sì e no. L’anno scorso aveva chiuso quarto, quindi la sua non è stata sicuramente una prestazione improvvisata. Prima del Giro aveva vinto la Vuel­ta Asturias, sapevamo che la for­ma era ottima. Inizialmente, però, partiva come spalla di Landa, anche se il loro era un ruolo flessibile, sapevamo che la cronometro di San Mar­i­no avrebbe delineato meglio le gerarchie. Richard ha una tenuta migliore a cronometro rispetto a Mi­kel, lo ha dimostrato a Bologna e poi anche a San Marino, e a quel punto uno è diventato capitano e l’altro luogotenente».

Poi la Maglia Rosa gli ha dato ancor più consapevolezza…
«Esatto. La cosa che mi ha meravigliato di più, però, è stata la sua tranquillità. Alla mattina si svegliava, si metteva la Maglia Rosa e andava in partenza come se nulla fosse. Sem­bra­va un veterano. Questa cosa mi ha sbalordito molto. Per lui ora inizia una nuova carriera».

Avete sfruttato al meglio il duello me­diatico tra Roglic e Nibali.
«Vero, per questo dobbiamo ringraziare i giornalisti. Hanno costruito questo dualismo e noi zitti zitti ab­bia­mo co­min­ciato a rosicchiare se­condi, fino ad arrivare alla Maglia Rosa».

Landa avrebbe avuto la forza di giocarsi anche la vittoria finale?
«Se non ci fosse stato Carapaz, penso che avrebbe potuto attaccare da lontano. In salita era tra i più forti e qualsiasi altra squadra, se lo avesse avuto tra le sue fila, lo avrebbe spinto ad attaccare. Il nostro obiettivo, pe­rò, era ovviamente la Maglia Rosa e Mikel si è calato bene nella parte di ultimo uomo. Nella tappa di Croce d’Aune ha anche provato a vincere la tappa, con Carapaz che si è mes­so in testa a tirare per lui, ma purtroppo Bilbao è stato più forte nello sprint a due».

Al basco, nonostante le indiscusse qualità, continua a mancare il successo di grande prestigio. È una cosa che gli pesa?
«Sicuramente sì. In questo Giro gli ho parlato parecchio, a metà corsa era ve­ramente demoralizzato. Ho comunque cercato di tenergli alto il morale, anche perché le sue prestazioni erano in crescendo, come poi si è visto. Se avesse già avuto un Grande Giro in tasca tut­to sarebbe diverso, correrebbe con la mente più sgombra e avrebbe meno pressioni su se stesso. Per esempio, Ni­bali ha già vinto quattro Grandi Giri e può permettersi di correre attaccando a destra e a sinistra, per lui ormai conta solo vincere, mentre un Formolo, che potrebbe accontentarsi di un podio, corre ovviamente in maniera differente».

Tutta la squadra, comunque, è stata all’altezza di supportare una Maglia Rosa. Per esempio, Pedrero ha messo tutti in fila sul Mortirolo…
«Sono stati tutti bravissimi. L’altro giorno con Pedrero ci siamo fatti due risate vedendo una foto del Mortirolo in cui lui prova a rispondere all’attacco di Nibali. È un ragazzo semplicissimo, ha passato le serate a leggere libri e collezionare le figurine Panini. E so­prattutto va forte e sta crescendo mol­to. Proprio quel giorno, scendendo dall’Aprica, è caduto e per due giorni ha sofferto parecchio, per questo motivo era tutto fasciato nelle ultime tap­pe».

Primo Grande Giro con la Movistar per te. Mica male come inizio...
«No, direi proprio di no. Mi sto trovando molto bene in questo team, si riesce a lavorare con serenità. Dal­l’esterno non ci sono pressioni e l’ambiente è decisamente più flessibile ri­spetto agli ambienti anglosassoni, dove è vietato sgarrare e uscire da quanto programmato. L’allenatore ha più in­fluenza, si può dare spazio all’inventiva. Insomma, in questo Giro mi sono divertito».

Come si sta sotto l’egida di una leggenda nel suo ruolo come Eusebio Unzuè?
«È un grande manager. Non è il classico proprietario che rimane in disparte, a lui piace intervenire e parlare ai ra­gazzi. In questo Giro è arrivato gli ultimi quattro giorni per accompagnarci in questo ultimo sforzo. Non dice mai cose banali. Ho il ricordo di lui alla Banesto, quando io ancora correvo, e son felice di aver constatato che non è cambiato e ha ancora grandi motivazioni».

Hai fatto il Giro di Svizzera: ora il Tour o qualche giorno di riposo?
« In realtà non andrò al Tour e avrò qualche giorno di riposo. In ogni caso, al Tour il capitano unico sarà Quintana. È fiducioso, soprattutto dopo la vittoria di inizio anno al Tour Co­lombia. Al suo fianco ci saranno Landa e Valverde».

Carapaz alla Vuelta invece?
«Dovrebbe, sì. Ma l’ultima parola l’avrà Unzué e adesso è un po’ presto per parlarne».

Ti sei dato una spiegazione sul basso rendimento di Quintana degli ultimi due an­ni?
«Sinceramente no. Io sono arrivato quest’anno e non so cosa non abbia funzionato nelle scorse stagioni. Alla fine di questo 2019 potrò fare il mio primo bilancio e cercare di capire cosa ha funzionato e cosa no. Parlare di quanto accaduto gli anni passati, quando non c’ero, penso sia irrispettoso nei confronti della squadra in cui lavoro».

Ad inizio anno si parlava di tre stelle in Movistar: Quintana, Valverde e Landa. Ora ce n’è una quarta. Quanto sarà difficile trattenerle tutte a fine anno?
«Sarà difficile. Ba­sti pensare alla Ineos, che avrà un budget ancora più grande degli anni passati. Co­me si fa a competere con queste squadre? Froome e Tho­mas hanno come terzi e quarti uo­mini gente che è stata campione del mondo e vinto classiche monumento. Se decidono di fare un’offerta è difficile controbattere. Al Tour dominano, mentre il Giro per fortuna è più imprevedibile».

Questo Giro è una delle vittorie più belle per te da quando sei direttore sportivo?
«Assolutamente sì. Mi sono sentito ve­ramente partecipe di questa vittoria. I media spagnoli hanno esaltato il nuovo modo di correre della squadra. Siamo stati perfetti, c’è poco da dire. I rivali ci hanno regalato qualche secondo, ma Carapaz e Landa in salita erano i più forti in assoluto».

da tuttoBICI di giugno

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