È stato un tuffo al cuore, un colpo di quelli che ti lasciano senza respiro e ti portano via con la mente che rincorre tutto e tutti. Un anno senza Gianni Savio, morto a soli 76 anni, dopo una lunga malattia che ce l’aveva fatto morire molto prima. Ricordo ancora il messaggino giunto sul mio cellulare da Annalisa e Nicoletta, le due figlie di Gianni. «Per tanti è stato il Principe, per noi è sempre stato “Pi”, la nostra roccia, il nostro punto di riferimento, il nostro esempio, il nostro riparo, il nostro maestro di vita, il nostro eroe, il nostro coraggio, il nostro entusiasmo, il nostro cuore, il nostro grande orgoglio», mi hanno scritto. E io mi sono sentito raggelare il sangue, anche se ero preparato, ma preparati non si è mai, non lo si può essere.
Benedetta è la memoria, che ci sorregge, che ci aiuta a non dimenticare, che ci aiuta a rendere questa assenza meno dolorosa, ma più piena. Come nei discorsi fatti in questo anno volato via. Quante volte ci siamo trovati a parlare di Gianni con gli amici che ne hanno apprezzato il suo modo di essere. Quante volte ci siamo persi nei pensieri nel ricordo di quel Signore che da signore si muoveva e parlava, con la classe che era educazione, mai supponenza, come ben sapeva Paola, sua moglie.
«Ci ha insegnato ad affrontare la vita con la stessa grinta e determinazione che ha sempre chiesto ai suoi corridori… beh, a noi non diceva di essere “cattive”, a loro sì, ma ha sempre parlato di cattiveria sportiva, quella che secondo lui serviva per aggredire le corse, per vincerle», mi scrissero un anno fa Annalisa e Nicoletta. A noi ha insegnato che anche i piazzamenti hanno un senso, se ottenuti con coraggio. A noi ha insegnato che si può essere squadra anche con un team piccino. A noi ha insegnato che si può sognare di vincere cose importanti e di tanto in tanto qualcosa di importante l’ha pure vinto, senza darsi però mai troppa importanza. «Caro Pier…», era il suo incipit ad ogni telefonata, che terminava con un «Ti ringrazio sempre per la tua disponibilità…», quando era lui il primo ad esserlo.
Mi mancano le sue telefonate e i suoi resoconti dopo una tappa del Giro. Mi mancano i suoi commenti sullo stato attuale del ciclismo. Mi mancano i suoi cioccolatini di Croci, che rendevano tutto più dolce. Che faceva un sacco Natale, anche in quel 30 dicembre di un anno fa, prima di quel messaggino, carico d’amore e che parlava di un addio.