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L'OPINIONE. SPORT, LA PEGGIO RIFORMA PER LE SOCIETÀ DI BASE
di Silvano Antonelli | 06/12/2024 | 08:15

Tutte le volte che mi imbatto nella cosiddetta riforma dello sport, mi viene l’orticaria. Meglio sarebbe stato chiamarla “legge per la disciplina del rapporto di lavoro sportivo”.
Che fosse necessario dare una regolata a questa materia, disciplinando le varie opportunità d’impiego insieme ai suoi riverberi di tutela, fiscalità e contribuzione, prosciugando altresì zone di ambiguità più commerciali che sportive, nessuno può negarlo. Ma per lo sport, nella sua eccezione di promozione, sostegno e sviluppo, vivaddio se in questa “riforma” si trova qualcosa di utile.
La trasparenza è sempre necessaria, ma nel perseguirla andava ricordato al legislatore che anche in questo caso era bene non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca.
Per le società di base le cose si sono maledettamente complicate. Per loro un aggravio di spese di ogni genere senza facilitazioni e contributi che in un qualche modo possano riequilibrare il nuovo assetto, mentre di converso tante le nuove opportunità introdotte  per commercialisti, fiscalisti, consulenti del lavoro e quanti altri si possano elencare per prestazioni che, ovviamente, sono esclusivamente a pagamento. Anche i soci diventano preferibilmente collaboratori con tanto di rapporto contrattualizzato.  
Dall’ipocrisia al più autentico pugno nello stomaco quando poi, come nel caso della FCI (e non solo), rispettando gl’indirizzi del CONI, al capitolo 1 punto 9 dello statuto si trova scritto: «la FCI considera il volontariato quale base insostituibile della propria attività tecnica, organizzativa e funzionale». “Ma mi faccia il piacere” direbbe Totò. Ma quando mai se neppure  più le pulizie della sede possono essere fatte gratis da qualche volonteroso socio!
A me pare che il legislatore, i governi e politici che si sono progressivamente alternati su questa “riforma”, abbiano toppato in modo clamoroso!   
Per una vera riforma dello sport e quindi un miglioramento dell’intero settore, si sarebbero dovuti mettere in equilibrio le attese delle società, ovvero le facilitazioni e il sostegno all’attività sportiva, dalla scuola all’uso degli spazi pubblici, con le regole che lo Stato deve coerentemente pretendere siano applicate in termini di trasparenza e correttezza delle prestazioni e delle specifiche attività concesse.   
Qui invece la faccenda sembra essere andata assai diversamente: il mondo sportivo, di quanti lo sport lo producono alla base, è stato letteralmente ignorato e non ascoltato. Diciamo pure anche non rappresentato dalle varie federazioni ed enti di promozione sportiva, incapaci di una benché minima azione unitaria.
È una riforma dello sport dove il legislatore ha imposto e lo sport ha semplicemente subito! Una vergogna che meritava e ancora meriterebbe una manifestazione di piazza oppure una domenica di sospensione di tutte le attività sportive.
Ma oltre a questo, ed è tanta roba, quello che mi manda letteralmente in bestia, è che tutte le associazioni sportive debbano, entro il 31 dicembre di quest’anno, provvedere alla nomina del cosiddetto Responsabile Safeguarding (figura di salvaguardia), ovvero il soggetto a cui sarebbe affidato il compito di vigilare e prevenire abusi, violenze e discriminazioni.
La questione in sé, ha una sua dignità di proposito, è una preoccupazione che sempre la si sarebbe dovuta avere e che molti, diciamolo per inciso, hanno anche saputo gestire con sapienza e scrupolo.
Ma da questo, a farne una preoccupazione diffusa di possibili abusi, violenze e discriminazioni, mi pare che la questione vada ben oltre ogni realistico timore, finanche assurda e ingiusta. Di questo passo potremmo presto avere, non è da escludere, denunce perché il proprio figlio è stato escluso dalla formazione di questa o di quell’altra partita, da questa o quell’altra manifestazione ciclistica, oppure perché è stato ripreso in modo energico dal proprio allenatore, tirando magari in ballo il colore della pelle o altro.  
Lo sport, per sua natura e funzione, è il settore, dopo la scuola, a cui lo Stato  – tramite l’azione privata – assegna il ruolo di educare e formare i ragazzi e le ragazze dall’età infantile a quella ultra adolescenziale. Secondo principi di accoglienza, solidarietà, parità, sensibilità di genere, non violenza, rifuggendo qualsiasi pratica che possa anche solo lambire ipotesi di discriminazione per condizione economica, razza, sesso, fede e cultura. Luoghi in cui, attraverso la competizione, oltre a scoprire la dimensione di se stessi s’impara anche a rispettare il valore degli altri, la necessità delle regole, la disciplina finalizzata alla migliore coscienza sportiva e civica.    
Ora invece, i tanti presidenti e dirigenti delle associazioni sportive dilettantistiche, che non possono declinare ad altri nessuna delle responsabilità civili e penali che la legge gl’impone, e per la cui opera gli statuti escludono qualsiasi compenso, devono subire anche l’onta di vedersi per così dire sorvegliati in casa, sospettati di possibili devianze proprio nella casa che loro stessi hanno eretta (quando altri non lo farebbero mai al mondo), proprio per diffondere e difendere certi valori.
Nessuno deve ignorare i rischi e le tentazioni sempre possibili, ma questo modo di fare di tutta l’erba un fascio, a mio parere, offende lo spirito e l’onore di questi dirigenti, uomini e donne, ed urta l’orgoglio dei tanti che hanno scelto lo sport come scuola di vita e talvolta di riscatto dopo aver commesso errori.
L’attività di controllo dei comportamenti all’interno della propria associazione è – e deve essere - parte integrante del ruolo di ogni singolo dirigente, da attuarsi nei modi più opportuni senza delegarla a figure specifiche o esterne.
E se questa attività la si voleva rafforzare o introdurre ove carente, per una efficace strategia della prevenzione, più che i Responsabili Safeguarding andavano promossi e resi obbligatori precisi percorsi formativi – capaci di unire consapevolezza e responsabilità - da realizzarsi all’interno delle strutture Coni e/o federali, con il giusto coinvolgimento di tecnici, atleti, dirigenti e genitori. Si, anche dei genitori, che non possono pensare di parcheggiare i loro figli presso le società sportive come fossero dei pacchi da portare e ritirare a determinati orari. Difficile credere che in un tempo dove i genitori a bordo strada o a bordo campo, si sentono più competenti degli stessi allenatori e tecnici dei propri figli, non sentano e non abbiano anche la capacità di osservare, seguire e interrogare i loro figli su come questi vengono allenati e portati a gareggiare. Almeno lasciatemelo credere.
Per questo ruolo di Safeguarding (non esisteva un termine italiano?) qualcuno suggerisce si debbano avere competenze adeguate, di ordine giuridico, psicologico, sociologico ecc., così tanto per tirare l’acqua al mulino di vari Ordini e Albi di categoria, soggetti che in ogni caso, è bene dirlo, non sgraverebbero di nulla la responsabilità dei presidenti di società, ma solo aiutarli a stare più avveduti.
Molto meglio, a mio parere, che questi “sorveglianti” siano nominati tra i dirigenti delle singole associazioni. Soggetti di normale buonsenso, che abitualmente frequentano tanto i luoghi degli allenamenti quanto quelli delle gare,  che per definizione operano (gratuitamente) per il buon nome dell’associazione e dei propri tesserati. Figure di garanzia senza dover rendere palese la propria presenza per dare garanzie.
Vorrei tanto che lo sport, con sensibilità, delicatezza e responsabilità, sapesse auto-determinarsi per difendere la sua storica e insostituibile funzione.

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