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ARRIVARE ALLA STRADA INIZIANDO IN MOUNTAIN BIKE: COME E PERCHÉ DI UN FENOMENO
di Nicolò Vallone | 25/01/2022 | 08:06

In un'epoca che ci vede sempre più multitasking, sempre più in grado di dover fare tante cose, assolvere a tante mansioni, lo sport non è da meno. A partire da quello più popolare che monopolizza le attenzioni del Paese, ossia il calcio, dove i terzini devono saper attaccare almeno quanto difendere, i centrali impostare il gioco almeno quanto contrastare gli avversari, i centravanti giocare assieme ai compagni lontano dalla porta almeno quanto segnare. E così via.

Nel ciclismo, attenzione, non stiamo certo arrivando al punto in cui i velocisti lottano per le corse a tappe e gli scalatori partecipano alle volate di gruppo. E chissà se sarà anche solo lontanamente possibile in futuro. Ma lasciando da parte la fantascienza sportiva, ci troviamo invece a constatare un fatto concreto, che ormai possiamo pacificamente definire uno dei cambiamenti fisiologici a cui il mondo di pedali e due ruote è andato incontro negli ultimi anni: tanti dei ragazzi che si affacciano al professionismo su strada, hanno iniziato sugli sterrati.

Sia esso MTB-XCO o ciclocross, o tutti e due, oggi è assolutamente normale, e anche incoraggiato, che i ciclisti di domani inizino a guidare ruote grasse, prima di trovarsi al bivio e decidere se continuare sulle mountain bike oppure, spesso e volentieri, optare per l'asfalto. Poi ci sono i Pidcock, Van der Poel e Van Aert che riescono a fare egregiamente entrambe le cose per diverse stagioni, ma quelli sono discorsi tra fenomeni.

Una dinamica balzata alle cronache già a inizio Duemila, con corridori del calibro di Ryder Hesjedal, Cadel Evans, Peter Sagan e Jakob Fuglsang a fare incetta di vittorie giovanili nel cross country prima di "cambiare sponda" e togliersi le soddisfazioni che ben sappiamo. Fino ad arrivare al francese Viktor Koretzky, neopro della B&B Hotels a 27 anni dopo una vita ricca di medaglie in XCO.

È una tendenza che noi di tuttobiciweb abbiamo continuato a saggiare da vicino in questo mese di passaggio tra 2021 e 2022, nel quale abbiamo avuto modo di parlare (tra gli altri) con Alessandro Verre, Alessio Nieri e Gaia Realini. Due neoprofessionisti che hanno iniziato con la MTB per poi migrare alla strada e una ragazza che concilia con successo ciclocross e strada dopo aver iniziato in MTB.

A volte si comincia per amore della mountain bike, altre volte perché magari si fatica a trovare subito una squadra su strada. Ciò che è certo, spiega Nieri e ci spiegarono due anni fa Marton Dina ed Erik Fetter (ungheresi dell'allora Kometa-Xstra di Basso e Contador) è che la MTB è maestra di guida, affina la tecnica e insegna a faticare. Tutta roba preziosissima da mettere in saccoccia. Cui si aggiunge la testimonianza di Fuglsang: «Nella mountain bike così come nel ciclocross c'è meno spazio per la tattica, vince sempre il più forte e se un atleta domina in quelle specialità molto probabilmente riuscirà a fare bene anche su strada».

Poi, al momento di "quagliare" per intraprendere una carriera ben precisa, per qualcuno il richiamo della strada rischia di diventare un'irresistibile sirena: per condensare insieme le parole ai nostri microfoni di Verre e della Realini, per quanto il cross country sia pure nel programma olimpico la strada offre più visibilità, e di pari passo «dà più da vivere», rispetto a MTB e CX. Almeno qua da noi.

Con questo non vogliamo certo indicare mountain bike e ciclocross come "succursali", discipline semplicemente propedeutiche alla strada senza una propria importanza, una propria struttura e i propri fuoriclasse ed emozioni. Anzi.

Se vogliamo rimanere solo all'Italia, siamo ricchi di talenti che un domani rincorreranno trionfi e soddisfazioni sul pianeta sterrato. Talenti che però, ci ha recentemente ricordato la leggendaria regina dei boschi Paola Pezzo, «dovrebbero potersi divertire di più nelle categorie giovanili, invece gli si mette fin da subito tante pressioni, partono fortissimo ma poi già in Under 23 si rischia di perderli.»

In buona sostanza, viva la MTB e il ciclocross così come la strada! L'importante è che la scelta dei ragazzi sia meno obbligata possibile. Da fattori familiari, economici o tecnici che siano.

Per citare ancora la Pezzo: «Ai miei due figli faccio alternare tutte le specialità, cosicché acquisiscano più abilità motorie possibili e possano decidere più avanti, una volta preparati su tutto, se fare strada, mountain bike o pista.»

Libera scelta in libero ciclismo. Un mantra da perseguire in uno sport che, come gli altri, procede sul percorso della completezza tecnica e della capacità di destreggiarsi in differenti contesti. Quella che un tempo era percepita come eccezione, pian piano diventa regola. Gli standard tecnologici e atletici mutano e si innalzano, e con loro la qualità complessiva. Ma senza perdere l'essenza, questo è fondamentale.

 

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