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LONGO BORGHINI. «HO DUE CORSE NEL MIRINO...»
di Giulia De Maio | 29/01/2020 | 07:54

Dai Giochi Olimpici di Rio 2016 è tornata con una medaglia di bronzo al col­lo. Nell’anno di Tokyo 2020 Elisa Longo Borghini si conferma la leader della Nazionale Italiana femminile, che an­cora una volta scommetterà sulla scalatrice di Ornavasso. A 28 anni Elisa è pronta a cominciare la sua seconda stagione in maglia Trek Segafredo e, è facile prevederlo, sarà la carta migliore per il Commissario Tecnico Edoardo Salvoldi sia per l’impegnativa prova in linea dei cinque cerchi sia per il mondiale di Aigle-Martigny, in Svizzera. Quando infatti il gioco si fa duro, Elisa è una garanzia.

Come hai trascorso le vacanze?
«Purtroppo sono sempre più corte, ma ho cercato di godermele in famiglia. Pa­pà Ferdinando (allenatore di sci nordico e responsabile tecnico dei materiali per le squadre azzurre dal ’72 al ’94, ndr), mamma Guidina dal Sasso (vanta un passato importante nello sci di fon­do, ha partecipato in carriera a 15 Cop­pe del Mondo, 3 Olimpiadi e 6 Mon­diali, per poi dedicarsi alle maratone sulla neve, allo ski roll e alla corsa in montagna, ndr) e mio fratello Paolo, ex professionista, sono da sempre il mio riferimento. Ho finito di gareggiare a metà ottobre, la mia ultima corsa è sta­ta il Campionato Italiano a cronometro, poi ho partecipato al primo raduno della squadra nel Wisconsin, quindi ho ricaricato le pile trascorrendo una settimana di relax a Fuerte­ven­tura con il mio fidanzato. A novembre sono stata tranquilla a casa, ho corso un po’ con Ciro perché doveva preparare la maratona di Firenze. È passato tutto troppo velocemente, come sempre. A di­cembre, in ritiro in Sicilia, ho ripreso a pedalare seriamente».

Da quest’anno hai il tuo preparatore Pao­lo Slongo in squadra.
«Sì, Vincenzo Nibali me l’ha portato in dono per Natale (scherza, ndr). Averlo più vicino è una bella motivazione, mi da uno slancio in più. Potremo confrontarci più spesso di persona, mentre prima, essendo lui impegnato con un altro team, ci sentivamo più via telefono. Al di là del metodo di comunicazione, abbiamo cambiato qualcosina nei tempi della preparazione, visto che l’anno che ci aspetta è ricco di appuntamenti importanti. L’anno scorso iniziai la stagione molto presto, in Australia, quindi a questo punto dell’anno avevo più chilometri nelle gambe, mentre questo inverno mi sono dedicata di più alla palestra per lavorare sulla forza. Me la sto prendendo un po’ più con calma, visto che inizierò a correre il 29 di febbraio».

Che obiettivi ti sei posta per il 2020?
«Il grande obiettivo è Tokyo 2020. Poi c’è un mondiale molto bello a Marti­gny, che non è nemmeno lontano da casa. Il Giro Rosa è una delle mie gare preferite, quindi cercherò di farmi trovare pronta, come sempre. Se riuscirò ad avere l’opportunità di vincere e di raccogliere qualche bel risultato anche in altre corse ben venga. Un anno fa mi ero posta l’obiettivo di vincere una corsa, questa volta alziamo la posta e diciamo che tra dodici mesi sarò contenta se ne avrò conquistate due».

Due tipo, Olimpiade e Mondiale?
«Beh, io non lo direi mai. Molto umilmente punto ad essere convocata per Tokyo e mi impegnerò molto per farmi trovare in condizione per il mondiale».

Alla fine del Giro mi hai detto: la bici ti salva la vita. Ti va di spiegarmi meglio?
«Arrivavo da un momento un po’ difficile, la bici mi ha aiutato perché ti insegna a soffrire e a non mollare mai e nella vita questo serve, altroché se ser­ve. Oltre che a livello psicologico, più concretamente la bici può salvare vite anche in paesi sottosviluppatti in cui infrastrutture e mezzi di trasporto sono arretrati, una due ruote può permettere di spostarsi più velocemente, di andare a scuola, al lavoro, di poter trasportare più cibo al proprio paese».

In Italia qualcosa si muove e il professionismo sportivo è più vicino anche per le donne.
«Meglio tardi che mai, ma prima di brin­dare bisognerebbe aspettare la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e rimanere ben saldi con i piedi per terra. Io sono fatta così: finchè non leggo nero su bianco, non ci credo. L’emen­da­mento della Commis­sione Bilancio del Senato per le ASD che promuoveranno il professionismo sportivo è senz’altro una buona notizia, ma è assolutamente prematuro parlare di rivoluzione e di vittoria. Perché sia davvero così, serve agire sulla Legge Delega. Per la parità tra i sessi non basta un emendamento. Io e le mie colleghe attendiamo fiduciose il lavoro del Ministro Spadafora per far sì che la notizia sia realmente tale».

Del movimento #MeToo nel ciclismo che idea ti sei fatta?
«Personalmente non ho mai avuto nessun problema e trovo frustrante che agli occhi delle persone il ciclismo femminile sia considerato come un mondo “malato” nel quale per arrivare a certi livelli devi aver subito una violenza. In realtà il nostro movimento fa parte del­la società in cui viviamo, è composto da persone corrette e per bene e da altre non stimabili. Se sei una ragazza, rischi di essere violentata prendendo la metropolitana. Questo non è normale, non dovrebbe esser normale in una società civile».

Si parla spesso della visibilità che merita il ciclismo femminile… Ultimamente tutti i riflettori sono puntati sulla tua com­pagna di squadra Letizia Paternoster. Serve essere belle come modelle o rischiare di essere ammazzate da un’auto, come è successo a lei di recente, per ricevere attenzione?
Sorride... «Sicuramente essere bella co­me Letizia significa avere una marcia in più, se questo può aiutare le nostre corse ad essere più viste in tv e seguite dal vivo ben venga, mi auguro però che la gente non si fermi solo all’ammirare la bella ragazza ma impari a conoscere l’atleta per quello che è e vale. Noi va­liamo e meritiamo per le nostre per­for­mance, non per il nostro aspetto fisico o perchè ogni giorno in strada ri­schia­mo la pelle svolgendo il nostro lavoro».

Per chi non ne ha idea, chi è una ciclista?
«In primo luogo è una persona, che af­fronta molti sacrifici proprio come un collega uomo. Non mi piace distinguere tra ciclismo maschile e femminile, il ciclismo è uno sport che non ha genere. È praticato da uomini e donne che alla mattina si svegliano, guardano fuo­ri dalla finestra che tempo fa ed escono ad allenarsi. Una ciclista è una donna che dedica la vita al proprio lavoro. Es­sere un’atleta significa esserlo a 360 gradi, 365 giorni l’anno, 7 giorni alla settimana, 24 h al giorno».

da tuttoBICI di gennaio

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