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ADDIO A MARC VANDEVYVERE, IL "CACCIATORE DI DOPING"
di Francesca Monzone | 19/01/2024 | 08:10

Martedì sera a Cortrai in Belgio, all’età di 77 anni è morto Marc Vandevyvere. Questo nome per molte persone potrebbe essere del tutto sconosciuto, ma nel mondo del ciclismo degli anni Novanta e fino a metà degli anni Duemila, Vandevyvere è stata una persona... da temere, perché per conto dell’UCI  è stato uno dei più agguerriti cacciatori di doping. Era lui che insieme allo staff medico faceva irruzione in piena notte negli alberghi delle squadre per prelevare campioni di sangue e con la sua firma venivano poi diramati i risultati dei test.

Le sue erano dichiarazioni brevi ma incisive, come quelle rilasciate nel 2005 alla vigilia del Tour de France che partiva con una cronometro da Fromentine: «Le 21 squadre sono state testate per circa due ore e nessuno è risultato positivo». Questo era l’anno in cui Lance Armstrong avrebbe vinto il suo settimo Tour de France, titolo poi annullato proprio per colpa del doping: Vandevyvere era il responsabile degli ispettori dell’UCI che collaborò alle analisi.

La sua carriera nel ciclismo era iniziata nell’organizzazione della Kuurne-Bruxelles-Kuurne, ma già all’inizio degli anni Novanta era presidente di giuria in tutti i principali grandi giri e non mancava mai al Giro d’Italia, al Tour o alla Vuelta e anche ai Giochi Olimpici: era il terrore dei ciclisti che non si comportavano in modo corretto. 

Lui stesso, dopo essere andato in pensione, si divertiva a ricordare gli anni in cui veniva definito il “cacciatore del doping”, quando con la sua squadra di medici faceva irruzione in alberghi e pullman delle squadre.

«Sono stato il cacciatore di tutti coloro che non si comportavano in modo corretto nel ciclismo – Aveva raccontato il dirigente belga in un’intervista del 2020 -. Durante le mie visite negli hotel posso dire che ho avuto a che fare con diversi grandi nomi del ciclismo».

Marc Vandevyvere nelle sue interviste raccontava come e quando si presentava negli hotel, dove l’intento era uno solo: trovare i corridori scorretti che facevano uso di sostanze proibite. «Di solito arrivavamo la mattina molto presto ed entravamo nelle camere d'albergo per sottoporre uno o più corridori a un test antidoping. Il trucco era sempre lo stesso: non farsi vedere o notare in anticipo in albergo, per evitare che la squadra si insospettisse. A volte però, non era così facile e le squadre riuscivano a intercettare la nostra presenza in hotel prima dei test».

La sua prima Olimpiade risale al 1996 ad Atlanta, dove faceva parte del quartetto di commissari internazionali in qualità di giudice d'arrivo, e rivestiva l’incarico di responsabile del corretto svolgimento dell'intero programma ciclistico.

Marc Vandevyvere era una persona riservata nel suo lavoro e il suo simbolo era una camicia azzurra d’ispettore con la scritta UCI e per tutti diventava il "nemico". Quando i media andavano da lui per avere informazioni,  si limitava solo nel dire che aveva svolto il suo lavoro, ma che i campioni in laboratorio non venivano analizzati da lui. A cavallo tra gli anni Novanta e Duemila si parlava di ematocrito naturalmente alto, che veniva evidenziato nel sangue dei corridori e quando veniva interrogato Vandevyvere rispondeva: «Io faccio solo il mio lavoro: se volete sapere qualcosa, non dovete chiedere a me, ma andate a chiedere alle squadre».

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