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L'ORA DEL PASTO. ZANDEGU', LA MISS E QUEL BACIO CHE IL PREFETTO...
di Marco Pastonesi | 08/01/2022 | 07:41

Giro di Sardegna del 1966. Quinta e ultima tappa, la Cagliari-Nuoro di 235 chilometri. Fughe e controfughe, davanti tre corridori fuggono per la vittoria e la gloria. Dei tre, uno solo resiste all’inseguimento del gruppo: sta per compiere ventisei anni, questa è la sua seconda stagione da professionista e finora ha conquistato una sola vittoria, il Giro di Romagna del 1965, in volata. Perché lui, grande e grosso, è un velocista. Si chiama Dino Zandegù, è padovano di Rubano, corre per la Bianchi, e “la sua maglia è biancoceleste” come quella citata da Mario Ferretti per Fausto Coppi nella celebre radiocronaca della Cuneo-Pinerolo al Giro d’Italia del 1949.

Dopo oltre sette ore di fatica, Zandegù taglia finalmente il traguardo con le braccia al cielo e un sorriso che sembra abbracciare tutta la Terra. Primo. A 55” arriva il gruppo: secondo è il normanno Jacques Anquetil, che si aggiudica la classifica finale della corsa, terzo lo svizzero Roland Zoeffel, più dietro Graziano Battistini, quarto al traguardo e secondo nella generale, e Vito Taccone, quinto di giornata, e Flaviano Vicentini, terzo nella generale, e ancora l’ex campione del mondo Jean Stablinski, Franco Balmamion, Imerio Massignan, Franco Cribiori... Insomma, per Zandegù, una gran soddisfazione. Adriano De Zan, camere e microfoni della Rai, sillaba i nomi dei concorrenti, osanna l’impresa di Zandegù, incendia la platea.

Zandegù sale sul palco, risponde alle invocazioni della folla e alle domande di De Zan, quindi viene chiamato alla cerimonia della premiazione. “La miss era una ragazza carina, piccolina, in costume tradizionale. Mi porse un mazzo di fiori. E io mi avvicinai – come da rituale – per baciarla sulle guance. E anche lei si avvicinò – come da rituale – per baciarmi sulle guance. Ma esaltato dalla vittoria, inebriato dai fiori e soprattutto affascinato dalla signorina, invece di baciarla sulle guance, osai farlo direttamente sulle labbra. Una questione di pochi centimetri, ma decisiva. E la signorina non deviò la nuova traiettoria. Le labbra si incontrarono e, magicamente, si incollarono. Il bacio non fu fuggente, leggero, simbolico, un paio di secondi, ma vero, appassionato, travolgente, forse un paio di minuti”. Come confida Zandegù, “lei corrispondeva mica male”.

In certe occasioni, si sa, si perde il senso del tempo. Ma il bacio fra la miss e il corridore, o come dice sorridendo lo stesso Zandegù, “fra la bella e la bestia”, anche se non dura precisamente un paio di minuti, scatena il pubblico. E continuerebbe prodigiosamente se Zandegù non si sentisse battere sulla spalla. “Era un’autorità. Lo capii dal tocco, dal piglio e dalle parole accompagnatrici. ‘Ma cosa sta facendo?’. In un attimo capii tutto: quell’uomo era il prefetto e la miss era sua figlia”. Zandegù si stacca, la miss si ricompone, il popolo del ciclismo applaude, c’è perfino chi brucia le tappe (trattasi pur sempre di ciclismo) e urla un benaugurante, ma poco profetico, “viva gli sposi”.

Zandegù va in albergo. Bagni, massaggi e, prima di cena, arriva Franco Pretti, lo sbrigativo, efficiente, simpatico organizzatore sardo del Giro di Sardegna. Non è un appuntamento previsto, non è neanche una visita di cortesia, ma una richiesta d’aiuto: Pretti è disperato. “Zandegù, mi hai rovinato!”. Quel bacio pubblico, in diretta televisiva, è stato un gravissimo incidente diplomatico e potrebbe segnare la fine della manifestazione. Zandegù ha un’idea geniale: “Facciamo così. Il mazzo di fiori che mi ha consegnato la miss l’ho lanciato alla folla, e recuperarlo mi sembra impossibile. Ma ne compro uno nuovo. Con quello andiamo dal prefetto e regaliamo il mazzo a sua moglie”. Pretti non è più disperato, ma continua a sembrarlo: “Sbrigati – fa a Zandegù – e andiamo”.

Mezz’ora in macchina fino a una villa nel centro di Nuoro. Pretti e Zandegù, con il mazzo di fiori, parcheggiano l’ammiraglia, suonano al campanello della villa, vengono ricevuti da una donna di servizio, chiedono del prefetto. Il prefetto li riceve. “Ma cosa t’è venuto in mente?”, domanda, secco, a Zandegù. E Zandegù, lui che scalatore non è mai stato, prova ad arrampicarsi sui vetri: “Vede, signor prefetto, nella prima tappa sono arrivato secondo dietro a Vittorio Adorni, nella seconda tappa terzo, anche se ho conquistato la maglia di primo nella generale, nella terza tappa ancora terzo, anche se ho conservato la maglia di primo nella generale, nella quarta sono mezzo scoppiato, e infatti ho perso la maglia di primo nella generale, stavolta, nella quinta e ultima tappa, ho finalmente vinto. Ed era tanta la gioia che ho perso la testa”. Pretti conferma i risultati della corsa e certifica il carattere del corridore: “E’ un bravo ragazzo”. E la moglie del prefetto – nel ricordo di Zandegù “una bella donna sarda” - accetta il mazzo di fiori riparatore. Zandegù, riconoscente, le si avvicina per baciarla: “Lentamente, sempre più vicino, finché il prefetto sbotta: ‘Eh no, mia moglie no!’”. Zandegù resiste alla tentazione e il Giro di Sardegna è salvo.

E la figlia del prefetto? Secondo Zandegù, “per punizione era stata chiusa a chiave, a doppia mandata, nell’ultima camera della villa”.

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