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DIECI FACCE DA VUELTA
di Angelo Costa | 14/08/2021 | 08:00

Interamente in territorio spagnolo, di nuovo aperta al pubblico con le dovute restrizioni anti covid, la Vuelta si ripresenta nei suoi tradizionali abiti di corsa aperta agli attaccanti, come piace agli appassionati iberici: più della metà delle ventuno tappe in programma si presentano nervose, con una cinquantina di salite e almeno otto arrivi all’insu, tre dei quali considerati fuori categoria. Si parte e si arriva con una crono (41 i chilometri totali, 7 il primo giorno, 34 l’ultimo, probabilmente decisivi), si va dal nord (Burgos, in Castiglia Leon) al nord (Santiago de Compostela, in Galizia), si comincia e si finisce davanti a una cattedrale, tagliando fuori Madrid dopo sette anni, ma anche i Pirenei. Sarà come sempre l’occasione per riscattare una stagione o renderla ricchissima, ma anche per chiudere alla grande la carriera, come nel caso di Fabio Aru, uno dei sei italiani ad aver vinto la corsa spagnola oltre che uno dei tre ex vincitori presenti al via. Dei nostri, in gara ce ne sono una quindicina in un cast che non si nega nulla, dai vincitori di grandi giri ai campioni olimpici: ecco i dieci nomi che potrebbero firmare il terzo grande giro della stagione.

Primoz Roglic. Vince perchè si è già portato a casa le ultime due edizioni, perchè ha da prendersi la rivincita sulla sorte che l’ha fermato al Tour, perchè dopo l’oro olimpico nella crono non penserà soltanto ad aiutare il compagno Kuss. Non vince perché correre con la mente libera, come promette lui, un po’ di forze alla fine le toglie.

Egan Bernal. Vince perché a 24 anni ha la grande chance di completare la raccolta di grandi giri, perché dopo il Giro d’Italia ha la consapevolezza di esser ritornato ai livelli migliori, perché quando corri senza aver nulla da perdere riesci a dare il meglio. Non vince perché la strada potrebbe scegliere un compagno di squadra più favorito di lui.

Mikel Landa. Vince perché questa edizione sembra essergli più alleata che avversaria, perché nelle prove generali in vista della Vuelta è apparso pimpante come nei giorni belli, perché ha accanto un compagno come Caruso che all’occorrenza sa diventare uomo di classifica. Non vince perché correre da leader a lui sembra fare più male che bene.

Alexander Vlasov. Vince perché da scalatore ha il terreno adatto per farlo, perché ha chiuso al quarto posto l’ultimo Giro pur non brillando come ci si attendeva, perché l’estate è forse il periodo dell’anno in cui va più forte. Non vince perché aver deciso di cambiare squadra inconsciamente si rivela sempre un piccolo freno. 

Adam Yates. Vince perché prima o poi un grande giro lo centra, perché le salite corte e secche sono perfette per lui, perché nella Ineos dove c’è chi ha già vinto (gli olimpionici Carapaz e Pidcock, oltre a Bernal) e chi può benissimo farlo (Sivakov e Daniel Martinez) non ha il peso della squadra. Non vince perché nei grandi giri è forte, ma non è una garanzia. 

Giulio Ciccone. Vince perché parte con l’idea di far classifica e non di correre improvvisando, perché avere la squadra tutta per sé lo responsabilizza, perché in questa stagione dopo tante promesse qualcosa deve pur mantenere. Non vince perché a 26 anni non è facile andare subito a segno al debutto da capitano.

Miguel Angel Lopez. Vince perché deve raddrizzare una stagione anonima, perché questa è la corsa che sa interpretare meglio, perché dei nove grandi giri che ha corso in carriera i sei che ha completato li ha chiusi tutti nei primi otto della classifica. Non vince perché fra cadute e buchi trova sempre il modo di complicarsi la vita.

Enric Mas. Vince perché l’aria del podio l’ha già respirata, perché correre accanto a quell’enciclopedia della bici chiamata Valverde è un valore aggiunto, perché il titolo di grande speranza di Spagna se l’è guadagnato finendo a ridosso dei migliori. Non vince perché gli manca sempre quel centesimo per arrivare all’euro. 

Hugh Carthy. Vince perché c’è già andato vicino lo scorso anno, perché tutte le salite che attendono la corsa sono il menu ideale per uno come lui, perché ha l’età giusta per dimostrare di poter essere protagonista e non solo attore di seconda fila. Non vince perché quel che può guadagnare sulle montagne lo riconsegna tutto nelle crono.

Fabio Aru. Vince perché è la sua ultima occasione prima dell’annunciato addio al ciclismo, perché dopo tre anni storti sembra aver ritrovato gli stimoli giusti, perché la Spagna è un territorio che si sposa benissimo alle sue qualità e al suo carattere. Non vince perché un conto è ripartire da un periodo buio, un altro tornare ai massimi livelli.

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