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VERSO LA SANREMO. SAGAN: «È LA PIÙ DIFFICILE»
di Giulia De Maio | 22/03/2019 | 07:22

Dopo tre Mondiali di fila (2015-2017), un titolo continentale (2016), un Giro delle Fiandre (2016), la Parigi-Roubaix 2018, tre Gand-Wevelgem (2013-16-18), undici tappe e sei classifiche a punti (dal 2012 al 2016 e nel 2018) al Tour de France, quattro tappe alla Vuelta a España e una classifica finale dell’UCI World Tour (nel 2016) Peter Sagan è pronto per nuove sfide. In fondo ha ancora qualche gara da provare a vincere.

Quest’anno il fenomeno slovacco pun­ta a una tripletta da sogno che comprenda Milano-Sanremo, Ronde e la classica del pavé. Una missione praticamente impossibile per sua stessa am­missione. E se è già riuscito ad aggiudicarsi queste ultime due corse monumento, la Classicissima manca al suo formidabile palmares.

A 29 anni il capitano della Bora Hans­grohe l’ha sfiorata già in più occasioni (è stato 2° nel 2013 e nel 2017, 4° nel 2012 e 2015), in otto partecipazioni solo due volte è uscito, per pochissimo, dalla top ten, ma per uno che in 10 anni da professionista ha alzato le braccia al cielo più di 110 volte non può essere sufficiente.

Il premio in palio alla Sanremo starebbe bene nel tuo museo a Zilina.
«Eh, sì. Non è ancora aperto, ma presto lo sarà. Io colleziono tutto: numeri, le bici delle grandi vittorie, le maglie. Da anni ci sto lavorando insieme a mio padre Lubomir e ormai ci siamo quasi. Tra le altre cose, ci sarà esposta la Por­sche che mi sono guadagnato scommettendo con Paolo Zani, il patron della Li­quigas, che avrei vinto la maglia ver­de al Tour 2012. Non l’ho mai usata. Ci saranno tutte le bici con cui ho vinto le corse più importanti. La Classicissima mi manca, d’altronde è una delle corse più difficili da conquistare. Non si può mai sottovalutare i rivali, soprattutto in una corsa di quasi 300 km. Non sai mai cosa può capitare, devi essere sempre pronto. Se vuoi vincere “facile” devi essere il più forte e staccare tutti sul Poggio, lo sprint è sempre una lotteria. A Sanremo non sempre vince il più forte, lo abbiamo visto negli anni passati. Per tagliare il traguardo per primo devi avere anche fortuna, più che in altre corse. Al Fiandre come in tante al­tre gare contano molto di più le gambe, la performance, devi sempre essere attento ma è più facile controllare la corsa. La Sanremo è anche la classica più vicina a dove vivo (Montecarlo, ndr), sì sarebbe bello...».

Dovrai vedertela con il tuo amico Ga­vi­ria.
«E non solo. Ho iniziato a parlare con Fernando due anni fa, nel mondo del ciclismo ci conosciamo tutti e visto che entrambi viviamo a Monaco abbiamo avuto modo di conoscerci meglio (han­no anche lo stesso procuratore, Gio­vanni Lombardi, ndr). Prima del Tour de France 2018 avevamo scommesso che per ogni tappa vinta avremmo comprato una bottiglia di buon spumante, alla fine ne avevamo 6. Ne abbiamo stappata qualcuna, ora lui non può più bere perché corre per una squadra degli emirati quindi quelle che restano le dovrò bere io (scherza, ndr). In in­verno sono stato in Colombia, ha organizzato una bella vacanza per me e i miei amici, in una settimana abbiamo visitato Medellin, Cartagena, Casa Ora, l’arcipelago del Rosario, un vero paradiso. L’amicizia è una cosa, l’alleanza in gara tutt’altra. Chiac­chie­riamo in coda al gruppo, scherziamo nelle prime fasi di gara, ma quando è ora di fare sul serio andiamo avanti e iniziamo a darcele».

Per la prima volta hai aggiunto la Liegi-Bastogne-Liegi al tuo programma di primavera.
«Finora nelle Ardenne avevo corso so­lo l’Amstel (3° nel 2012, ndr). Voglio fare un po’ di esperienza e vedere che cosa si può fare. Io al via di qualsiasi gara mi presento per lottare per il successo, ma in questo caso avrò bisogno di tempo per capire come funziona. Sono molto curioso di andarci. Ri­spet­to agli anni passati non disputerò la Strade Bianche, andrò invece in altura, quindi alla Tirreno-Adriatico per crescere di condizione in vista della Mi­lano-Sanremo. Dovrei correre tutte le classiche fino alla Liegi, sono motivato. Recupe­ra­re dalla Roubaix è difficile, ma­gari come ha fatto in passato Gil­­bert correrò fino al Fiandre e poi tirerò un po’ il fiato prima di Amstel e Liegi, vedremo».

Niente Giro d’Italia, nemmeno quest’anno.
«Prima o poi verrò, lo prometto. Ora non ha senso, dopo le classiche sarebbe troppo faticoso. Mi chiedi se potrei venirci nel 2020? Dipende da quali corse vinco quest’anno… (sorride, ndr). Fi­si­camente e mentalmente le classiche sono molto dure, dalla San­remo alla Liegi è un periodo lunghissimo e intensissimo, poi mi aspetta il Tour de France, un altro periodo in cui essere al top a lungo, e infine i mondiali, a cui bisogna arrivare al massimo. Re­stare concentrato da gennaio a ottobre non è facile, ma non mi pesa. Ho scelto di essere un corridore completo e competitivo durante tutto l’arco dell’anno».

Tra i tuoi uomini per le classiche, oltre a Oss è arrivato Gatto.
«Daniel è una garanzia, Oscar pure. En­trambi hanno grande esperienza al nord e sono amici oltre che colleghi fi­dati. La Bora Hansgrohe anno dopo anno sta crescendo. Quello su cui pos­so contare quest’anno è uno dei migliori gruppi che abbia mai avuto. La for­ma perfetta non è facile da trovare, né per me né per gli altri, ma faremo del nostro meglio. Se succederà potremo ottenere grandi risultati».

A cosa ti affidi in corsa?
«Mi guida solo l’istinto. Non faccio praticamente mai la ricognizione dei percorsi, nel finale corro quasi sempre da solo e seguendo le mie sensazioni. Prima del via non penso alle tattiche, in corsa può succedere di tutto, è inutile scervellarsi su chi attaccherà e cose di questo tipo. Bisogna essere pronti quando è il momento. Ho molto rispetto per i miei avversari. Tra i più talentuosi riconosco Julian Alaphilippe, un corridore davvero interessante. È bello battagliare con lui, è forte, un po’ più scalatore di me. È come Valverde, ma più giovane».

La popolarità non sembra averti cambiato. Ti concedi sempre per autografi e foto, soprattutto ai più piccoli.
«Mi ricordo quando ero bambino io. Quando correvo in mtb, quando ho iniziato a viaggiare per la Coppa del mon­do, quando assistetti con papà alla Lie­gi, quando da junior ai Giochi Olim­pici giovanili in Belgio mi guadagnai la possibilità di andare a vedere il prologo del Tour de France con Ullrich e Arm­strong. Avere giovani tifosi mi dà motivazione, poterli ispirare è un orgoglio, adoro i bambini. Io quando ero un ragazzino volevo godermi il mo­mento, non andavo a disturbare i campioni, quando oggi vedo gli adulti sgomitare per un selfie con il sottoscritto penso siano un po’ matti. A volte mi trattano come se fossi una cosa e non una persona, quello è l’unico momento in cui mi infastidisco. Easy, eh».

Il mondo del ciclismo sta scoprendo un altro fenomeno: Remco Evenepoel.
«L’ho visto in Argentina, è molto presto per dire dove potrà arrivare. Visto quello che ha dimostrato nelle categorie minori, se starà bene e re­sterà rilassato ha di sicuro davanti a sé un futuro brillante. Se avrà o meno una buona carriera dipende da come gestirà la pressione, che già mi pare molto alta nei suoi confronti. Quando ti chiamano il “nuovo Merckx” non deve essere una passeggiata. Ci sono passato. Da quando io avevo 18-19 anni sono cresciuto molto fisicamente, anche lui ma­turerà e magari cambierà. Il tempo ci dirà cosa ne sarà di lui. L’unica cosa che posso suggerirgli io è di godersi questi anni e di continuare a divertirsi».

Il ciclismo è ancora divertente per te?
«Qualche giorno sì, qualche giorno no. Se sto bene e ottengo dei buoni risultati è fantastico. Dipende da come va, ma mi ritengo un privilegiato. Chi sta me­glio di me? Vivo della mia passione, svolgo il lavoro che amo, riesco a farlo bene, non me la passo per niente male. In testa ho sempre un solo obiettivo: fare il meglio possibile».

Diventare famoso era tra i tuoi obiettivi?
«No, assolutamente. La fama non mi è mai interessata. È arrivata insieme ai soldi, che sono importanti ma non sono tutto. Ti danno più possibilità di scegliere come vivere. Io penso sarei felice anche su un’isola deserta senza un euro, se avessi le persone importanti per me al mio fianco e qualcosa da mangiare».

La fama dà spesso alla testa, come fai a tenere i piedi per terra?
«Grazie alla gravità, non ho ancora im­parato a volare (ride, ndr). Il ciclismo è così duro che ti insegna che un giorno sei un fenomeno e il giorno dopo non sei nessuno. La carriera di un atleta inoltre è molto breve quindi negli anni di attività bisogna essere rigorosi e im­pegnarsi al massimo per ottenere il più possibile. Bisogna fare tutto bene adesso».

Fa ancora un po’ strano non vederti con la maglia iridata.
«Beh, quella di campione slovacco che indosso ora non è poi così diversa (sorride, ndr). Sono contento che adesso l’arcobaleno sia sulle spalle di Ale­jan­dro Valverde, un grande campione, con una carriera fantastica. Detto questo è chiaro che cercherò di riprenderla il prima possibile».

Quest’anno potresti diventare il primo corridore della storia a vincere il Mondiale quattro volte.
«Non sono troppo interessato ai re­cord e poi è una prospettiva lontanissima. Prima ci sono tanti altri obiettivi, può succedere di tutto. Il percorso nello Yorkshire sulla carta è molto più adatto per me dell’ultimo a Innsbruck, ma per vincere un mondiale devono capitare tante cose insieme: bisogna sta­re bene, avere fortuna... vedremo più avanti».

Lo scorso luglio ti sei separato da Ka­ta­rina. Sei molto riservato sulla tua vita privata, possiamo chiederti come stai?
«Sto bene, grazie. Con la mia ex moglie siamo rimasti in buoni rapporti. No­stro figlio ci legherà per sempre e compatibilmente con gli impegni sportivi cerco di passare più tempo possibile con lui, di riflesso così vedo anche Ka­te. Marlon cresce velocemente e già cammina. È un bimbo simpatico e ha tanta vitalità».
Chissà da chi avrà preso...

da tuttoBICI di marzo

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