Fuga a due. Due compagni di squadra, maglia granata della Unione Sportiva Pontedecimo. Mario Aldo Rossi, il vecchio, e Sergio Ferrando, il giovane, fra loro quasi una generazione sportiva, sei anni di distanza. Fuga a segno. Poco prima dell’arrivo a Voltri, Ferrando disse a Rossi che la vittoria sarebbe toccata di anagrafe a lui, Rossi, più vecchio. Rossi rispose a Ferrando che la vittoria sarebbe spettata di diritto a lui, Ferrando, più giovane. Fu convincente: “Hai una carriera davanti a te”. Primo Ferrando, secondo Rossi.
Avrebbe compiuto cento anni, quest’anno (il 5 febbraio), Mario Aldo Rossi, per l’anagrafe solamente Mario, per tutti semplicemente Aldo, da podista a ciclocrossista e stradista, campione italiano di ciclocross nel 1955. La sua San Martino di Paravanico, frazione di Ceranesi, comune di Genova metropolitana, una ventina di chilometri nell’entroterra più che sufficienti per sembrare di abitare in un altro mondo, gli dedica due appuntamenti: giovedì 19 giugno, alle 21, una festa con discorsi, testimonianze, ricordi e un’affettuosa mostra con maglia tricolore, casco, fotografie e ritagli di giornali nel centro polisportivo Le Piane di Ceranesi, in una tensiostruttura a lui intitolata; e martedì 24 giugno il Gran premio della montagna a Livellato durante la prima edizione del Giro dell’Appennino donne.
Aveva talento ciclistico, Rossi, quel talento naturale che nasceva dal territorio, laghi e passi, salite e discese, percorsi di mercanti e sentieri di ciclopratisti o ciclocampestri, la bici su e giù dalle spalle, ma anche quel talento familiare che nasceva dalla semplicità, dalla modestia, dalla dignità se non dalla povertà delle esistenze. Divenne uno dei “cuccioli” di Luigi Ghiglione detto Luigìn (la definizione “cuccioli” è del nipote Fulvio Rapetti), il creatore del Circuito dell’Appennino nel 1935 (promosso Giro dell’Appennino nel 1955), patron dell’Unione Sportiva Pontedecimo. E Rossi divenne, con Ferrando, Elio Magnanego e Valerio Chiarlone, uno dei quattro moschettieri di Ghiglione, terzi nella Coppa Adriana a Desio nel 1949, una sorta di campionato italiano a squadre, a cronometro, per allievi. Poi dilettante, dal 1949 al 1955, Rossi collezionò vittorie e titoli: cinque campionati liguri di ciclocross nel 1949, 1950, 1952, 1953 e 1955, il campionato italiano nel 1955 (e secondo nel 1954 dietro a Graziano Pertusi e davanti a Luigi Malabrocca detto Luisìn), sei volte maglia azzurra con cinque partecipazioni iridate e il quarto posto ai Mondiali di Crenna nel 1953. E su strada nel 1950 vinse la classica Bologna–Passo della Raticosa, nel 1953 la Coppa Azzari (Milano-Sestri Ponente) a pari merito con Angelo Malvicini. Finché nel 1956 passò professionista nella Nilux-Ursus di Vigevano, dove era già stato anche Malabrocca: terzo ai campionati italiani disputati in casa a Pontedecimo (una casa di sentieri e scalini conosciuti a memoria: primo Amerigo Severini, secondo Dante Benvenuti). Ancora terzo nei campionati italiani del 1958. L’ultima vittoria in una classica del cross, quella di Solbiate Olona, il giorno della Epifania, nel 1958. Nel medagliere anche l’argento mondiale a squadre nel 1955 e il bronzo mondiale a squadre nel 1957, sempre nel ciclocross.
A Ceranesi, e in particolare a San Martino di Paravanico, il settanta percento degli abitanti si chiama Rossi. E’ stato uno della minoranza, Sergio Repetto detto Sergìn, a suggerire l’opportunità della ricorrenza per una meritata ricordanza. Ed è stata una della maggioranza, Maria Teresa Rossi, alla lontana imparentata con il corridore, assessore alla Cultura di Ceranesi, a interrogare prima la famiglia del corridore, poi l’Unione Sportiva Pontedecimo, infine il consiglio comunale e a organizzare l’evento. Tutti d’accordo. Perché Aldo era “una persona meravigliosa”. Figlio di un cestaio, quinto di dieci figli, garzone di panettiere in bicicletta a undici-dodici anni, poi in un’azienda siderurgica a Bolzaneto, quindi all’Italsider di Cornigliano come elettricista, Aldo era “schivo, riservato, generoso, disponibile – racconta la figlia Angela -. Non sapevamo che fosse un campione di ciclismo, ma già sapevamo che era un campione come papà”. Rimase legato al ciclismo allenando i ragazzini del Gruppo sportivo Mobili Casaccia. “Il mio doping – spiegava ad Angela – erano i datteri. Ne compravo un chilo e lo mangiavo sul treno andando alla corsa”. Un progresso se paragonato a quando alle corse andava con l’ammiraglia della Pontedecimo: una Balilla, guidata da Ghiglione, con i quattro moschettieri e le loro biciclette.
Rossi morì il 15 luglio 2009. Aveva 84 anni. Se solo potesse commentare la doppia festa organizzata dai suoi compaesani, felice e contento, fiero e commosso, direbbe che non era comunque il caso.