Dieci anni. Dieci anni di corse, dieci anni di corsa, dieci anni inseguendo un sogno, che poi è diventato un progetto, il progetto di una squadra, fra uscite e allenamenti, gare a tappe e in linea, Mondiali e Olimpiadi. Dieci anni equatoriali.
Dopo dieci anni di Ruanda e Team Rwanda, Jock Boyer torna a casa, negli Stati Uniti. Nessuna epurazione, nessuna cacciata. Niente esonero, niente dimissioni. Solo che dopo dieci anni vissuti in un altro mondo, e in un altro modo, Boyer sente il bisogno mentale di staccare e fisico di ricominciare là dove aveva staccato e dove aveva cominciato, ma anche di continuare quello che ha elevato da zero a storia commovente, modello sportivo, esempio organizzativo, alla ricerca di nuovi interlocutori e sponsor. Non più allenatore e tecnico, direttore sportivo e team manager, coordinatore e regolatore, ma una sorta di ministro degli esteri.
Quella di Boyer, 61 anni, è un’avventura da film: il primo statunitense a correre il Tour de France (nel 1981), le sue 87 vittorie da dilettante e 49 da professionista, la sua condanna per molestie su minori e la sua detenzione in un istituto di pena, la telefonata dell’amico Tom Ritchey e l’idea di ricominciare tutto – ciclismo e vita – in Ruanda, il reclutamento dei futuri corridori fra i garzoni del caffè, la scoperta e il lancio di Adrien Niyonshuti, il successo internazionale agonistico e mediatico del Tour of Rwanda, la costruzione di un centro ciclistico all’avanguardia mondiale nelle attrezzature (e nell’altitudine di Musanze, a quota 1850).
L’altro giorno Jock si è recato nel palazzo presidenziale a Kigali con il presidente della Federazione ciclistica ruandese Aimable Bayingana e la ministra dello Sport e della Cultura Julienne Uwacu, e sono stati ricevuti da Paul Kagame, che guida il Ruanda dal marzo 2000. Un colloquio che, come si deduce dall’articolo apparso sulla versione online del ruandese “The New Times”, pare sia stato amichevole. E ha sancito la conferma dell’interesse di Kagame per il ciclismo inteso come mezzo non solo di propaganda sportiva ed elevazione sociale, ma anche di promozione turistica: il Paese delle mille colline vuole diventare una meta planetaria per tutti i cicloappassionati.
Nelle fotografie, Jock Boyer ha la sua solita faccia, segnata e un po’ malinconica. Ma stavolta sembra anche molto stanco. Come chi è stato in testa e ha tirato il gruppo, non per dieci chilometri, ma per dieci anni. Ha tutto il diritto, adesso, di tirare il fiato.
Marco Pastonesi