Si sono dati battaglia in luoghi di battaglie. Si sono fatti la guerra in zone di guerre. Hanno attaccato e si sono difesi in aree di pericolo. Hanno sparato tutte le loro cartucce, ma in bicicletta, non sui carrarmati.
Ottantasette corridori afgani e pakistani, tre tappe, trecentocinquanta chilometri. Era il Tour of Galiyat, alla sua seconda edizione: una regione montagnosa, a un’ottantina di chilometri da Islamabad, in Pakistan, teatro della guerra contro Osama Bin Laden. La corsa è stata vinta da Najeeb Ullah, un pakistano, secondo nella prima e nella seconda tappa, primo nella terza, quella decisiva con l’arrivo in salita.
Ma il risultato agonistico, almeno stavolta, è l’ultima cosa che conti: il Tour of Galiyat, organizzato da Tourism Corporation Khyber Pakhtunkhwa e Khyber Pakhtunkhwa Cycling Association, può entrare nella storia per la sua missione di pace. Lo sport per tornare al mondo, il ciclismo per restituire dignità alle persone e fascino ai luoghi, i corridori come ambasciatori e testimoni di solidarietà, la bicicletta come Nobel per la pace. Non cannoni, ma… Cannondale.
La corsa è stata dura, o forse i corridori non erano abbastanza preparati: soltanto cinquanta hanno concluso la gara. Oltre alla formazione afgana, partecipavano squadre pakistane regionali e militari, aziendali e dopolavoristiche. Alla fine – nessun incidente politico né di ordine pubblico: un trionfo – le autorità hanno espresso tutta la loro soddisfazione. Questa corsa, hanno dichiarato, dimostra che i turisti possono venire tranquillamente qui e godersi uno degli spettacoli più impressionanti del pianeta. E non è che il primo capitolo, si spera, di un nuovo romanzo a pedali, a lieto fine: il prossimo obiettivo è aprire il Tour of Galiyat a tutti, come appuntamento del calendario internazionale.
Per noi che pedaliamo anche sulla tastiera, che stiamo in gruppo anche su internet, che sprintiamo nel romanticismo e ci arrampichiamo sull’idealismo, il Tour of Galiyat rischia di diventare la gara più importante e attesa della stagione. Alla partenza, il via dato con una bandiera non a scacchi bianchi e neri, ma arcobaleno, a strisce, quella della pace. E all’arrivo, la premiazione al vincitore non con un mazzo di fiori, ma con un ramoscello di ulivo.
Marco Pastonesi