Fausto Coppi si coricava a letto e si confidava con Serse, il fratello, poi con Ettore Milano, il gregario. Gino Bartali saliva in bici, o in macchina, o comunque in cattedra, e travolgeva di parole Giovannino Corrieri, il gregario, ma anche qualche prete, in questo caso investito del ruolo di missionario. Anche Felice Gimondi era più da confessionale del sacerdote che non da lettino dello psicanalista. Perché il ciclismo, e lo sport, ha giudicato gli allenatori e i tecnici, insomma gli specialisti della mente, con sospetto: gli strizzacervelli.
La musica è cambiata da una ventina d’anni. Psicologi, terapisti, motivatori. Personali, societari, federali. Per aprirsi e, magari, scoprirsi. Per essere confortati, incoraggiati, assistiti, aiutati. Arrivati al limite negli allenamenti in bici e nell’alimentazione su o giù dalla bici, rimane molto da fare negli esercizi della mente. Molto perché qui i limiti sono sconosciuti, i confini ignoti, i margini variabili. Dipende: dai caratteri, dalle personalità, dalle storie, dalle circostanze.
Pensavo anche a questo leggendo il racconto di Adriano Malori, il suo ritorno dalla incoscienza, dal buio, dal mistero, prima un limbo, poi un inferno trasformato in purgatorio grazie alla volontà, alla disciplina, al rigore – tre caratteristiche che il ciclismo aiuta a costruire -, e grazie alle conoscenze, alle esperienze e alle tecniche dei medici e degli scienziati che lo hanno seguito e accompagnato. Connettere il desiderio con i nervi, il sogno con i muscoli, l’anima con il corpo. Tornare in sella per tornare in vita, tornare in vita per tornare in sella, tornare Adriano. E l’Adriano di oggi appare più fortificato, anche se non dovesse andare più così forte.
E’ la testa. E’ la testa che pedala, scatta, insegue, sprinta, tira il fiato, tira la corda, tira a campare, tira il gruppo, va in fuga. E’ la testa di un corridore, così come di un qualsiasi altro atleta – alle Olimpiadi abbiamo riscoperto quanto valga la freddezza di un tiratore o di un tuffatore o di un ginnasta -, che fa la differenza. Non spesso, ma sempre.
Martijn Veltkamp, olandese, ha scritto “The Hidden Motor – The Psycology of Cycling” (Dark River nella traduzione inglese), il motore nascosto – la psicologia del ciclismo. Che cosa motiva i corridori? Come la motivazione influenza le prestazioni? Da dove nasce la paura di un corridore per la discesa? Come te ne liberi? Perché alcuni corridori soccombono alla pressione e invece altri si esaltano? Perché pedalare da soli impegna molto di più che pedalare in gruppo? Ci sono anche casi, curiosità, aneddoti, interviste. Il motore nascosto: bel titolo.
Marco Pastonesi