Millenovecentoquarantasei, l’anno. Il 3 luglio 1946, mercoledì, il Giro d’Italia propone la quattordicesima tappa, la Auronzo di Cadore-Bassano del Grappa, un omaggio ai morti, ai feriti, agli sfollati, ai derubati della propria giovinezza e felicità. Duecentotré chilometri disastrati. Con Gino Bartali, in maglia rosa, e Fausto Coppi, vincitore della tappa del giorno precedente, la Udine-Auronzo di Cadore. Gino e Fausto, Gino il toscano, il vecchio, l’infaticabile, l’uomo di ferro, e Fausto il piemontese, il giovane, l’aeronautico, l’Airone, e l’Italia che si divide fra i due campioni e si unisce, si riunisce, si rinsalda nel ciclismo, con il ciclismo, per il ciclismo.
Quel giorno il gruppo passa a Casella d’Asolo, sulla strada tutta terra e sassi, proprio davanti alla casa della famiglia Cremonese. E’ un’apparizione, una folgorazione, un evento che sa quasi di miracolo, che entra nelle ossa, che rimane nell’aria e nella memoria. A Bassano, saranno ancora Gino e Fausto, anzi, Fausto e Gino: Fausto vincitore di tappa, Gino primo in classifica. Un primato che, dopo più di 3 mila chilometri e 95 ore, Bartali difenderà fino a Milano, con l’inezia di un vantaggio di 47 secondi su Coppi. Nel gruppo c’è anche Giordano Cottur, triestino subito vittorioso e in maglia rosa nella prima tappa, a Torino, e poi ancora vittorioso nella tappa di Trieste, quella sospesa per l’assalto dei titini e poi ricominciata, a furore di popolo e di patria. Quel Cottur, che poi della famiglia Cremonese sarebbe diventato amico e cliente.
Millenovecentoquarantasei, l’anno. Il 16 agosto 1946, venerdì, Olindo Cremonese e Irma Geromin avranno anche festeggiato, con un sorriso, con un abbraccio, magari anche con un bicchiere di vino, di quello buono, il loro pronti-e-via, che vale una “start-up” di oggi. Olindo, del 1907, è di Saletto di Piave, frazione di Breda di Piave, provincia di Treviso, Irma, del 1911, è di Portogruaro, più vicina a Treviso ma in provincia di Venezia. A 22 anni Olindo apre un negozio di alimentari a Casella di Asolo, lo trasforma in osteria, lo divide con Irma, poi al negozio-osteria affianca anche un essiccatoio destinato alla frutta in comproprietà con un parente. Quel negozio-osteria-essiccatoio è la vita di Olindo e Irma, ma non è il loro sogno. Sognano, insieme, un’altra attività: oggi si direbbe imprenditoriale. Ma il sogno si dissolve prima e durante la guerra, la Seconda guerra mondiale, che lì, a quella latitudine e su quelle montagne, sembra pagare il prezzo più caro. Eppure il sogno resiste e, dopo la guerra, dopo il referendum, dopo il Giro d’Italia, il sogno resuscita, rinasce, risorge. Olindo acquista macchine per la filatura della lana, prima a Lamon, terra di fagioli unici al mondo, ma anche di pecore e di pastori e di lana, poi a Fonzaso, terra di boscaioli e trasportatori.
Giordano Cremonese, figlio di Olindo e Irma, nel 1946 ha 11 anni. Abbastanza per ricordare tutto e tutti, l’aria che tira, i sogni che si respirano, lo spazio preso in affitto dalla Cassa di Risparmio del Veneto, il capannoncino 10 x 20, totale 200 metri quadrati, dove accogliere le macchine per la filatura. E’ un prendere e un dare: prendere la lana dalle pecore e dare mantelle di lana ai pastori, contro la pioggia, contro l’umidità, contro il freddo. L’idea funziona.
La Manifattura Valcismon. I suoi marchi Sportful, Castelli, Karpos. E Giordano Cremonese, il presidente. Tutto è nato così, 70 anni fa. E oggi un libro – “La stoffa dei campioni” (Ediciclo, autori vari) – celebra questa valorosa storia italiana.
Marco Pastonesi