Parigi-Nizza, quella del 1964. A una ventina di chilometri dall’arrivo c’è una salitella. Italo Zilioli ci prova. E dà un colpo. Dal gruppo esce un solo corridore. E’ grande e grosso. E’ potenza ed energia. E’ Rudi Altig. Altig passa subito al comando e dà di quelle tirate cui Zilioli, solo a gran fatica, riesce a tenere.
Zilioli ha 22 anni, Altig 27. Zilioli è torinese, Altig tedesco – a quel tempo si diceva così – dell’ovest. Zilioli è, soprattutto, scalatore e discesista. Altig è soprattutto: cioè sopra i passisti, i discesisti, volendo i velocisti e, come si vede, anche gli scalatori, sopra la strada e sopra la pista, sopra le crono e sopra le classiche, un giorno sarà perfino sopra il mondo, iridato (anzi, quattro volte: tre nell’inseguimento, una su strada). Zilioli è della Carpano, Altig della Saint-Raphael. Zilioli ha un cognome che scivola via, sfuggente, Altig echeggia come un comando, un ordine, un imperativo.
I due vengono ripresi a un paio di chilometri dall’arrivo, e amen. La sera si ritrovano nello stesso hotel. Vincenzo Giacotto, direttore sportivo della Carpano, invita Altig a unirsi a loro, nello stesso tavolo: “Rudi, vieni qui”. Altig va. Poi, indicando Zilioli, Giacotto gli chiede: “Rudi, che ne dici di questo ragazzo?”. Altig squadra Zilioli, poi sentenzia: “Io toro, lui farfalla”.
Altig aveva la stessa cilindrata di Fabian Cancellara. Forse anche la stessa carrozzeria. E se i motori hanno un suono, un ritmo, un’armonia, aveva anche la stessa musica. Muggiva, mugliava, mugghiava. Le sue corse erano corride. La sua morte – l’11 giugno, a 79 anni, dopo un lungo combattimento con il cancro – una tauromachia.
Marco Pastonesi