Gli piaceva il ciclismo. Erano i tempi di Bartali e Coppi. Ma non poteva permettersi una bicicletta. Invece il pugilato non costava nulla e lui era convinto che gli sarebbero bastate le energie e la fantasia della sua giovinezza. Fu così che bussò alla palestra Olimpia, in via dei Mille al numero 16, nella sua Napoli. Si presentò, nome e cognome, anzi, solo il cognome, Pironti, poi dichiarò l’età, quindici anni, e il peso, sessanta chili. Gli risposero di tornare il lunedì successivo, e gli ricordarono di portare un paio di calzoncini e delle scarpette.
Tullio Pironti, boxeur, quando la boxe era - come il ciclismo, nella definizione di Mario Fossati – sport povero per i poveri, peso welter tra i migliori dilettanti italiani ai tempi in cui nella categoria combatteva anche Nino Benvenuti. Poi libraio ed editore, a Napoli. Una vita senza esclusione di colpi. A cominciare da quelli sul ring: “Avevo promesso a me stesso che il giorno in cui fossi andato al tappeto, e non mi fossi rialzato, sarebbe stato il giorno in cui avrei smesso con la boxe”. Successe ai campionati italiani: “mantenni la promessa”. A continuare con quelli editoriali: il primo fu una raccolta di articoli di Mimmo Carratelli sulle Olimpiadi di Monaco, lo intitolò “Monaco ’72. La lunga notte dei Fedayn” e gli aprì altre strade, dalla filosofia all’arte, dalle inchieste ai romanzi.
“Libri e cazzotti” è un libro che si divora, sulla vita di Pironti, così come lui l’ha raccontata proprio a Carratelli, poi smontata, rimontata, infine pubblicata undici anni fa (con la prefazione di Fernanda Pivano). Libri come cazzotti, ma anche pugni come racconti, storie, film. Pironti, con quel fuoco dentro, sarebbe potuto diventare uno scalatore da Sella e Pordoi, com’era nei suoi desideri, oppure uno schermidore, come suo padre. Adesso che è entrato nel suo ottantesimo anno (scadenza: il prossimo 10 giugno), Pironti non abbassa la guardia e nella sua libreria di piazza Dante al numero 89 continua a sfidare, lottare, colpire, che è un po’ come pedalare in salita.
Lui sostiene che “i libri sono morti per colpa della scuola, della famiglia e della televisione”. Ma finché c’è uno come lui, capace di scoprirli, venderli e anche scriverli, si va avanti. Con passione. Anzi, con amore.
Marco Pastonesi