“Caro Papa Francesco”. Wing, una bambina cinese di otto anni, gli scrive una lettera, gli manda un disegno e gli chiede perché gli piaccia giocare a calcio. E il Papa le confida: “Mi piace molto il calcio. Io non ho mai giocato partite serie perché non ho mai imparato bene la tecnica del gioco. Il mio piede non è agile. Ma mi piace tanto vedere le squadre in campo”. E le spiega perché. “Perché vedo che è un gioco di squadra, di solidarietà. Mi appassiono nel vedere una partita”. E questo vale per tutti gli sport di squadra. “Se un giocatore vuole giocare da solo perde, e poi non è amato dai suoi compagni di squadra. Si gioca bene al calcio quando si gioca insieme, quando si fa gioco di squadra e si cerca il bene di tutti senza pensare al bene personale o a mettersi in mostra”. Conclude: “Così dovrebbe essere anche nella Chiesa”. E firma: “Francesco”.
“L’amore prima del mondo” (Rizzoli, 80 pagine, 17 euro) è una raccolta di lettere scritte da bambini da tutti i continenti al Papa e le sue risposte, semplici, candide, affettuose. Come quando confessa a Basia, otto anni, polacco, che “alla tua età volevo fare il macellaio… andavo con mia nonna al mercato e avevo notato un macellaio che mi stava simpatico. Era grande e grosso e aveva un lungo grembiule con una grande tasca davanti. Quando mia nonna pagava, lui metteva le mani nella grande tasca. Era piena di soldi e dava il resto alla nonna. Io pensavo che fosse un uomo ricchissimo”.
Jorge Mario Bergoglio non è un uomo sportivo, come Woytjla l’alpinista, lo sciatore e il nuotatore, ma è un papa di sport, perché ne apprezza lo spirito, il senso, il valore. Lo disse alle nazionali italiana e argentina di rugby, quando le accolse in Vaticano. Lo ripete a tutti quegli appassionati da cui riceve maglie, berretti e perfino biciclette durante le udienze e i ricevimenti pubblici.
Ottant’anni il prossimo 17 dicembre, figlio di un ferroviere piemontese, Bergoglio è un papa che pedala, che attacca, che resiste, capace di scalare tutti i Gavia quotidiani. A Michael, nove anni, nigeriano, scrive che “non c’è una bacchetta magica”. A Joaquìn, nove anni, peruviano, rivela di aver “visto tanti miracoli quotidiani nella mia vita”. E pedalare aiuta a vederli.