“Non si perde la vocazione da un momento all’altro, come si perde un libro. Del resto, il libro lo si ritrova sempre, la vocazione mai”.
E’ la storia di un sacerdote che, strada facendo, non ha perduto un libro, ma la vocazione. Ma la vocazione non è solo quella dei sacerdoti: c’è anche quella dei corridori e dei loro “suiveur”, quella dei giornalisti e dei loro lettori, quella dei mari e dei loro navigatori.
“Il che dimostra che la vocazione deperiva da un bel po’, senza preavviso e senza rumore”.
Sì perché c’è una gradualità nascosta, invisibile, che non viene necessariamente percepita, ma è esistente, e consistente.
“Poi, una mattina, è fatta, hai superato il punto di non ritorno durante la notte e senza nemmeno rendertene conto: guardi fuori, passa una donna in bicicletta, c’è la neve sui meli, ti invade la nausea, il secolo ti chiama”.
Mi sono innamorato di Fred Vargas. Stavolta non è uno scalatore colombiano né un gregario spagnolo, ma uno scrittore, anzi, lo pseudonimo di una scrittrice francese, che ha creato un commissario dell’Anticrimine, che insegue casi, storie, nuvole, facce, a volte soltanto ombre. Adesso sto centellinando “Nei boschi eterni” (Einaudi, 2007). Ed è qui che ho trovato, folgorato, quella differenza che separa il perdere la vocazione dal perdere un libro, fino al punto di non ritorno. Quando “passa una donna in bicicletta, c’è la neve sui meli, ti invade la nausea, il secolo ti chiama”.
E al punto di non ritorno si cambia vita. Perché è la vita che cambia, e perché è la vita che ci ha cambiati. Complice – magari - una inconsapevole donna in bicicletta.
Marco Pastonesi