C’è già stata la prima corsa dell’anno, in Africa e in Oceania, nel Sudamerica e in Asia, e anche in Europa.
C’è stato il primo vincitore dell’anno, e anche il primo vincitore italiano dell’anno, e non a caso è stato Andrea Palini, velocista bresciano della Val Trompia, ma emigrato, e adesso - a suo modo - ambasciatore, a Dubai.
C’è stato il primo caduto dell’anno,
e piange il cuore che ad avere rischiato la pelle sia stato un altro
italiano, un altro – a suo modo – ambasciatore all’estero, Adriano Malori, interprete di un ciclismo cronometrico, potente e passista, soprattutto onesto.
C’è stato il primo caso di doping sanguigno dell’anno, e c’è stato anche il primo caso di doping tecnologico dell’anno, un altro colpo da k.o. non previsto ma minacciato e temuto.
C’è stata la prima polemica dell’anno, quella fra Uci e Aso, a dimostrazione di un mondo diviso ai vertici finché ne sarà dilaniato alla base.
Ma quando scocca la domenica 7 febbraio, quando si torna a Donoratico, quando scatta il Costa degli Etruschi,
quando si respira quella vecchia familiare aria del gruppo, quando la
strada è invasa da macchie di colori e fruscii di ruote, solo allora si ha la sensazione che sia finalmente cominciato il nuovo anno, la nuova stagione, il nuovo calendario.
Volate e scalate, fughe e inseguimenti, poi facce da scoprire, strade da esplorare, storie da raccontare. Ogni volta che una ruota comincia a girare, ogni volta che i pedali riprendono a frullare, ogni volta che un corridore osa attaccare la banda, rinasce la storia del ciclismo.
Marco Pastonesi