Ruba un’immagine e la regala a tutti. Coglie un attimo e lo rende immortale. Scatta una foto e la trasforma in incontro, ritratto, racconto, storia.
Evandro Teixeira è brasiliano, ha ottant’anni, i lineamenti da indio, e gli occhi come due obiettivi, due mirini, anche due fucili. In questi giorni, al Museu de Arte di Rio de Janeiro, è aperta la sua mostra “A Constituiçao do Mundo”, cinquant’anni di fotogiornalismo, dai primi lavori, matrimoni, al penultimo - perché l’ultimo, per uno così, non ci sarà mai -, un viaggio in Cina. Ritratti del tempo, come recita il titolo del catalogo (Bazar do Tempo, Ediçoes de Janeiro), in cui documenta una traiettoria che ha attraversato storia e geografia, che ha illuminato facce e fissato momenti, sempre sulla strada, al massimo con l’aiuto di una, scomoda ma preziosa, scala.
Rufolf Nurejev che, piedi nudi e scarpe in mano, salta sulla spiaggia di Copacabana. Lo studente di Rio che, contestazioni del Sessantotto, sfinito, dorme. Il corpo di Pablo Neruda collocato nella cassa, a Santiago. Oscar Niemeyer che fuma, il principe Carlo che innaffia, Pelé che s’inchina. E poi poliziotti, musicisti, bambini. E poi suore e fedeli, cavalli e cani. E poi pescatori, allevatori, contadini. Evandro frequenta favelas e salotti, conosce cantanti e calciatori, esplora papi e regine. Testimonia il tempo. E in questo percorso incontra anche le biciclette.
C’è un foto – un incontro, un ritratto, dunque un racconto, una storia – scattata nel 1992, a Aprazivel, Cearà. Evandro dev’essere sdraiato a terra. Da lì sembra cogliere l’universo: un cielo smisurato, in cui incombe una nuvola, pesante come un dolore ingiustificato, immeritato, inestinguibile; un suolo ghiaioso, selvaggio, minerale; e una bicicletta. Sulla bicicletta: un uomo, cappello di paglia, maglietta e pantaloni corti, sulla sella, che pedala; una donna, capo scoperto, capelli raccolti e sandali, sul portapacchi; e, fra il padre e la madre, un bambino. Ma il bambino è in una cassa. Il suo ultimo viaggio. Per il suo funerale. E il bianco e nero di Evandro dona drammaticità alla scena: pare di sentire il vento di questa landa, il respiro del padre, il silenzio della madre, l’obbedienza al destino, l’enorme dignità della cerimonia.
E la bici va. E il mondo pure.
Marco Pastonesi