S’incontrarono alle porte di Varese, su una salita che porta in centro. Lui era in macchina, un’Aprilia targata Alessandria, e indossava un completo marrone, una camicia bianca e una cravatta granata. Lei lo riconobbe solo perché glielo rivelò suo marito, appassionatissimo e tifosissimo di ciclismo. Lui aveva ventotto anni, quasi ventinove, lei venticinque. Si rividero poco più tardi, lei gli chiese una foto con autografo, lui disse "allora… con simpatia alla… signorina…", lei spiegò "sono sposata, mi chiamo Giulia", lui la guardò e scrisse "con simpatia alla signora Giulia". Quell’incontro fu un fulmine, quella dedica fu una scintilla, quello sguardo fu fuoco, falò, incendio.
Lui era Fausto, Fausto Coppi, anzi, Coppi Fausto come aveva firmato, lei Giulia, Giulia Occhini, anzi, Giulia Locatelli, la signora Locatelli, la mamma di Lolli e Maurizio. Quella che accompagnava, già con un altro sguardo, Coppi sul palco dei Mondiali di Lugano del 1953. Quella che – per via di un montgomery color neve – venne ribattezzata da Pierre Chany, giornalista de L'Equipe, “la Dama Bianca”, alla tappa di St. Moritz nel Giro d’Italia del 1954. Quella che fu poi la donna dello scandalo, la seconda moglie, la mamma di Faustino, la vedova impazzita di dolore e solitudine. Quella descritta e raccontata da Alessandra De Stefano in "Giulia e Fausto" (Rizzoli), protagonista di un’attrazione fatale, di un amore doloroso, di una storia che ancora oggi alcuni testimoni preferiscono tacere.
Adesso Dama Bianca è il nome di una collezione di biciclette – Bianchi, il secondo “cognome” di Coppi – dedicata alle donne, con modelli ispirati a sentimenti, o a emozioni, o a brividi: “Infinito”, “Intenso”, “Intrepida”, “Impulso”. E così quell’incontro fulminante, quella dedica scintillante, quello sguardo infuocato resuscitano, risorgono, rivivono. E pedalano.
Marco Pastonesi