Settimio, perché settimo di 13 figli, e Vittorio, nome che presuppone vittorie, forse con eccesso di ottimismo, comunque ottavo di 11 figli.
Settimio, di Mulazzo, provincia di Massa Carrara, toscano, e Vittorio, di Romano di Lombardia, provincia di Bergamo, ma già a sei anni milanese di via Imbonati.
Settimio, contadino e cavatore di pietre, e Vittorio, disegnatore meccanico, prima all’Isotta Fraschini, dove incontrò Walter Chiari, che non è ancora l’attore, ma lavora come operaio, e poi all’Alfa Romeo, dove rincontra Walter Chiari, che non è ancora un attore, ma in palestra tira di boxe.
Settimio, del 1913, e Vittorio, del 1924, una generazione successiva, se si considera i due come atleti, corridori nel senso di ciclisti, e ciclisti nel senso di corridori, Settimio professionista dal 1936 al 1951, e Vittorio dal 1946 al 1958, compresi i periodi in cui tutti e due corrono senza contratto, da indipendenti, da isolati, da accasati soltanto a corsa, a viaggio, ad avventura.
Settimio Simonini, detto “Baffino”, perché è l’unico corridore ad adottare quel vezzo imprevisto, e Vittorio Seghezzi, detto “Diavolo”, il primo Diavolo nella storia del ciclismo, e tutti gli altri, anche Chiappucci, gli hanno usurpato il titolo. Settimio e Vittorio al Giro d’Italia, Settimio con un quarto (nel 1938) e un quinto (nel 1939) finali, Vittorio con due terzi di tappa (nel 1949), Settimio a due Tour de France, Vittorio a uno, con il 44° posto finale (ultimo, però da gregario nel secondo trionfo di Gino Bartali), Settimio che conquista il Giro dell’Appennino, che a quel tempo, 1936, si chiama ancora Circuito dell’Appennino, e Vittorio che sostiene di avere vinto una tappa del Giro dei Tre Mari, antenato della Tirreno-Adriatico, che a quel tempo, 1949, vanta ancora lo Jonio, nonché una tappa del Giro dei Paesi Bassi e del Giro del Belgio.
E - soprattutto - Settimio Simonini e Vittorio Seghezzi partigiani in bicicletta. Simonini è indipendente nell’anima, e nell’anima è anche comunista. Dopo l’8 settembre 1943 diventa comandante di una brigata partigiana in Valsesia, nel luglio 1944 sfugge ai rastrellamenti e s’imbosca sul Monte Barca, in Toscana, e guida il distaccamento Gianotti di Torre Apella, che controlla la Valle del Taverone.
Seghezzi è partigiano nella brigata Alfredo Di Dio, Divisione Valtoce, porta documenti in bicicletta, ma siccome corre da dilettante, dice che si sta allenando, però a casa ha il mitra Sten e la pistola Mauser, la notte fra il 28 e il 29 è di servizio quando Mussolini e la Petacci vengono portati cadaveri e poi appesi alla tettoia di un distributore di benzina in piazzale Loreto.
Domenica, alle 14.30, Settimio Simonini e Vittorio Seghezzi saranno celebrati a Fondotoce (Verbania) in una mostra dedicata allo sport e alla Resistenza. Simonini, morto nel 1986 ad Angera, alla memoria, ma Seghezzi, a 91 anni, è ancora un testimone brillante. “Sarà che, nella mia vita, sono sempre andato a pane e acqua”. In questo caso, la sua lunga vita è un lunghissimo inno alla purezza.
Marco Pastonesi