A Milano. Zona Fiera, quella vecchia: via Correggio 12. Un elettrauto, visto da fuori. Una taverna, un’osteria, un focolare, vissuto da dentro. Il tempio del rugby, per chi non lo sapesse. Tavolate per terzi tempi. Damigiane di vino che hanno preso il sopravvento sui contenitori di acqua distillata. Sapore di risotto giallo alla milanese con ossibuchi che ha spodestato il profumo dell’officina.
Ieri. Ora di pranzo. Un incontro clandestino. Eddy il belga, Italo il torinese. Eddy il numero 1, Italo nel gruppo di testa. Eddy la storia, Italo i sogni. Eddy Merckx, Italo Zilioli.
Questa è la storia di un’amicizia. Un’amicizia prima fra due corridori, poi fra due uomini. Un solo anno nella stessa squadra, il 1970, nella Faemino. Poi sempre insieme, sguardi e sorrisi, intesa e complicità, case e vacanze, anche a distanza. Quando ci si perde di vista ma non dal cuore. Quando basta un richiamo o una telefonata. Quando poi un bicchiere di Barbacarlo, una scheggia di grana, una fetta di salame. Come stavolta.
Cominciano a ridere quando s’intuiscono, da lontano. Non smettono quando si lasceranno, tre ore dopo. Pedalano sui ricordi, per riaccendere le parole, per rinsaldare i sentimenti. Quella volta che Eddy, reduce da una seigiorni, di notte raggiunge i compagni in ritiro in Riviera a Loano, la mattina l’uscita è un lungo, il chilometraggio da distanza, con quelle salite liguri che s’impennano da zero – se non al paradiso – certo al purgatorio, così rimangono solo loro due, poi Eddy accelera e stacca Italo.
Quella volta che Italo vince la tappa al Tour e conquista la maglia gialla e Eddy – nel segreto della camera – gli dice che non è per niente arrabbiato, anzi, ma che se lo ricordi, il Tour è una strada così lunga da sembrare infinita. Quella volta che Italo di notte si sveglia di soprassalto e urla “al fuoco! al fuoco!” e Eddy, senza scomporsi, lo rassicura, lo tranquillizza, quasi lo culla. Quella volta che in un circuito in Belgio, in cui Italo tiene a fare bene perché ci sono tanti italiani emigrati, Eddy doppia tutti.
Eddy che organizza la sua vita da ambasciatore del ciclismo per poter pedalare, la domenica mattina, con i suoi amici di sempre, da Spruyt a De Schoenmaecker, una settantina di chilometri. E Italo che pedala per respirare, per ricordare, per riflettere, per continuare a sognare.
Eddy che, in Italo, vede fiducia, lealtà, candore. Italo che, in Eddy, vede quello che pochi conoscono e riconoscono, uno da tovaglie a quadretti bianchi e rossi, da pane e salame, da bicchiere di vino, da tifoso dell’Anderlecht, da spettatore degli All Blacks.
Solo nel tempio del rugby – da Cabrio: un elettrauto, visto da fuori, ma una taverna, un’osteria, un focolare, vissuto da dentro - si potrà ricordare Eddy che fa “ka mate, ka mate, ka ora, ka ora”. L’Haka.
Marco Pastonesi