C’è una foto del Mondiale – professionisti su strada, Richmond, Virginia, Stati Uniti, domenica scorsa – in cui, sul podio, Sagan sorride ma come spaesato, disorientato, non abituato a quel palcoscenico iridato, non preparato a quell’orizzonte infinito, non pronto a quella gloria eterna. Come se stesse vivendo qualcosa oltre il suo giardino. Sagan: non Peter Sagan, ma Juraj Sagan.
Peter ha 25 anni, Juraj 28. Peter è un mediomassimo (ma con una sudata potrebbe scendere a supermedio) di 1,82 per 77, Juraj un welter di 1,73 per 66. Peter è un vincente, dalla mountain bike alla strada, potrebbe dominare anche nella bmx e nella downhill, e perfino sui pedalò, Juraj no. Peter ha l’istinto, Juraj la voglia. Peter ha il carattere, Juraj l’aspirazione. Peter è leader, capitano, campione, Juraj gregario, domestico, “aguador”. Peter è personaggio e protagonista, Juraj comparsa e figurante. Peter è da titolone in prima pagina, Juraj da titoli di coda. Eppure stessi genitori, stessa Betlemme (Zilina, in Slovacchia), stessa casa, stesse scuole, forse perfino - almeno all’inizio - stesse bici, solo che Peter ce l’ha nel dna, Juraj nel sangue e nei sogni, e non è la stessa cosa. Tant’è che Peter, oltre alla maglia arcobaleno, ha conquistato, per dirne solo una, quattro volte la maglia verde di leader nella classifica a punti del Tour de France, e invece Juraj, per dirne solo una, al Tour de France ha partecipato soltanto come spettatore.
Se Peter ha cominciato a pedalare e vincere, è stato anche per Juraj, come se si fosse messo nella scia, come se gli avesse succhiato la ruota. Poi è stato Juraj a stargli in scia e a ruota. Professionisti dal 2010, i due fratelli hanno corso per le stesse squadre, ma è sempre stato Peter a spingere Juraj. Un po’ per fratellanza, un po’ per gratitudine, molto per bisogno. Nel sito ufficiale della Tinkoff-Saxo, nel ritratto di Juraj si spiega come sia, oltre che un corridore “resistente” e “gran lavoratore per la squadra”, un importante “supporter” e “sparring partner” di Peter, e come i due fratelli siano “inseparabili” in corsa, finché la corsa non diventa dura, e soprattutto fuori dalla corsa. I gregari sono angeli custodi, e Juraj protegge Peter finché può, poco, ed è per questo che Juraj assomiglia di più a un cherubino.
Dura la vita dei fratelli minori, anche quando sono maggiori – come nel caso di Juraj – per l’età. Da Albino Binda oscurato da Alfredo, ad Alessio Gimondi sovrastato da Felice, da Gaetano Baronchelli schiacciato da Gibi, a Cesare Cipollini divorato da SuperMario. Sudditanza fisica, dipendenza aerobica, anche sottomissione economica: un po’ di tutto questo, fino a scoprire che oltre il ciclismo c’è la vita, un pedalare diverso, una corsa più lunga, magari meno eclatante ma più importante e non meno valorosa.
Così, sul podio di Richmond, raggiunto senza aver tagliato il traguardo (su tre Mondiali – 2012, 2013 e 2015 – non ne ha finito uno), Juraj sorride come spaesato, ebbro della felicità di Peter, ma che è anche sua per devozione e dedizione, per vicinanza e riconoscenza, per quel patrimonio di parole e ricordi, per quella intesa e complicità che solo lui può vantare con Peter.
Marco Pastonesi