Domani, fra un anno: trentamila ciclisti a Rio de Janeiro. Il più grande gruppo, la più grande corsa, il più grande evento ciclistico mai visto, mai pedalato, mai vissuto in una Olimpiade.
Domani, fra un anno, la Bike4Truce2016, tutti in bicicletta per chiedere che la tregua olimpica in occasione dei Giochi olimpici e paralimpici di Rio 2016 non sia un concetto astratto. La tregua è una conquista antica, una tradizione immediata, un diritto inviolabile che accompagnava i Giochi nell’antica Grecia: stop alle guerre, via alla pace, la pace più sportiva del mondo e della storia. E a un anno da Rio 2016, la Fondazione Olos rilancia la rincorsa verso la nuova tregua olimpica, una lunghissima volata pacifica e pedalata: domani, a Milano, in via Fiori Chiari 9, a CasAbruzzo, la proiezione del film “Bike4Truce, la bicicletta come strumento di guerra”.
La prima volta, quattro anni fa: 12 ciclisti da Polleur, in Belgio, culla della dichiarazione dei diritti umani nel 1789, a Londra, tra la fine dei Giochi olimpici e l’inizio di quelli paralimpici, e poi un film-documentario, Peter Ranalli il regista, Valerio di Vincenzo il protagonista, e due atleti olimpici, il marciatore Giovanni De Benedictis e la ginnasta Fabrizia D’Ottavio, fra i testimoni. “La guerra alla guerra” si fa anche così: a colpi di pedali e a raffiche di email, a sogni e a ideali, a battaglie quotidiane. “La bicicletta perché i ciclisti sono soggetti deboli, etici, ribelli se non rivoluzionari, promotore di uno stile di vita ecosostenibile – spiega Valerio di Vincenzo, 59 anni, di Pescara, medico, presidente della Fondazione Olos -. La bicicletta perché è umana e pacifica. Ogni volta che si sale su una bicicletta, si sceglie fra il bene e il male”.
Domani, fra un anno, Bike4Truce sarà ospitata a Rio durante una giornata “sin carros”, senza auto. Perché anche sulla strada, ogni giorno, chi va in bici combatte la sua guerra con morti e feriti.
Marco Pastonesi