Era veloce: “Intanto allarga Pasotti: lotta in curva con Schotte, irrompendo irresistibilmente sul rettilineo finale. Pasotti vince di forza, perché è il più fresco. Ha una paura matta a muoversi in pista, dirà poi” (Gianni Brera).
Era sincero: “Quante volte, quando non avevo esperienza, me la sono lasciata fare appunto perché tiravo come un mulo, con gli altri a ruota, fino a un chilometro dal traguardo? Perché io non avrei dovuto fare altrettanto? I ‘premi platonici’, che solitamente vengono assegnati a coloro che si distinguono in corsa, contano fino a un certo punto. Quelle che rimangono sul libro d’oro sono le vittorie” (Rino Negri).
Era tosto: “Sull’interminabile ma pedalabile salita del Colle di Nava, Alfredo Pasotti e Alfredo Martini ci vennero vicini per comunicarci che sarebbero scappati dal gruppo all’inseguimento di Seghezzi e De Santi. Lì per lì pensammo a uno scherzo, ma quando lasciarono come palle di schioppo il grosso sonnecchiante ci mettemmo nella loro scia per un buon tratto di strada” (Rino Negri).
Era autonomo: “Pasotti, che è giunto terzo, non fiata: aveva tre compagni all’arrivo, nessuno gli ha dato una mano” (Gianni Brera).
Era vincente: “Nella vittoria di Pasotti c’è l’esaltazione dell’intelligenza” (Guido Giardini).
Era anche sfortunato: “Alfredo è scaraventato a terra da un tifoso di Coppi un po’ troppo ‘esuberante’ che non si accorge del suo arrivo”.
“Un ragazzo di Bastida” (Geo Edizioni, 208 pagine, 19 euro) è “l’avventura umana e sportiva di Alfredo Pasotti, corridore ciclista” raccolta e raccontata, indagata e spiegata, documentata e numerata da Franco Rovati su un piccolo grande eroe del ciclismo italiano (con la prefazione di Ernesto Colnago e un omaggio di Giuseppe Figini a Rino Negri). Rovati si è affidato ad archivi e testimoni per resuscitare pedalate d’autore e altre da attore, da scattista e da velocista, da gregario e da comprimario. “Alfredo Pasotti si chiama ‘Fredo’ nel suo paese dell’Oltrepò Pavese. E’ piccolo, snello, furbo, con la vocina un po’ chioccia e piena di ironiche inflessioni che sono proprie del dialetto lombardo” (Gianni Brera). “E’ forse il corridore più grazioso. Non cinematograficamente bello come Leoni ma ben proporzionato, smilzo, la faccia ancora da adolescente, gentile nel tratto, armonioso e composto sul sellino. Se fosse meno minuto e fragile probabilmente sarebbe già un grande campione” (Dino Buzzati). “Ogni giorno Pasotti veniva a dirmi che stava bene e che un giorno o l’altro avrebbe fatto il colpo, a patto che qualche volta si parlasse di lui” (Gianni Brera). E di colpi ne fece: due tappe al Tour del France del 1950, quelle che – come avrebbe cantato Paolo Conte – avrebbero fatto incazzare i francesi.
Pasotti il “Pasottino”, Pasotti il succhiaruote. Pasotti che cominciò a vincere – aveva 17 anni - il 14 giugno 1942 (Coppa Saranga a Bussero) concedendo il 5 luglio 1942 il bis (campionato italiano allievi) e finì il 3 luglio 1955 – a 30 anni – conquistando il Gran prix Le Locle in Svizzera. Pasotti il pescatore e il cacciatore, anche se sparava a vuoto e non mirava mai agli animali. Pasotti che andò in fuga anche dalle SS. Pasotti che, al Tour, era così stravolto che allo specchio neppure si riconobbe.
E Pasotti verrà ricordato stasera, nella sua Bastida Pancarana, alla Società operaia mutuo soccorso, con la presentazione del libro di Rovati. Il ciclismo come storia e geografia, anche come letteratura, il ciclismo come divina commedia umana.
Marco Pastonesi