Pagine elettroniche, parole eteree, schermate virtuali. Il primo libro sul Tour de France 2015 è un eBook. Lo hanno ideato, scritto e composto Filippo Cauz, Oscar Cini, Andrea Minciaroni e Leonardo Piccione. Giorno dopo giorno, tappa dopo tappa, pedalando oltre i tornanti, l’asfalto, il gruppo. A forza di “storie e visioni”, sottotitolo di “Quel leggero vagabondare” (crampisportivi.com). Il libro è pronto sulle varie piattaforme online. Costa due euro. Vale infinitamente di più. E questa è la prefazione che ho regalato loro, con tutto il cuore.
Il Tour de France è la “grandeur” della Grande Boucle e della Grand Départ, è un anno prima le Alpi e poi i Pirenei e l’anno dopo prima i Pirenei e poi le Alpi, è sempre gli Champs Elysées, è Pau e Gap, è la Normandia e la Vandea, è il Galibier e l’Izoard, è il Peyresourde e il Tourmalet.
Il Tour de France è il Giro di Francia anche quando comincia in Olanda, evade in Inghilterra, sconfina in Belgio, attraversa il Lussemburgo e penetra in Italia. Il Tour de France è i ventagli e il Ventoux, è i quaranta gradi all’ombra e il venti per cento in salita, è la vacanza d’estate ma anche un’improvvisa giornata d’autunno se non d’inverno e a suo modo un’eterna primavera.
Il Tour de France è “bidon” inteso come borraccia e “vélo” come bicicletta, è “bagarre” inteso come “bagarre” e “grimpeur” come “grimpeur”, è la maglia gialla intesa come maglia rosa e la maglia a pois come quella verde mentre quella verde è come quella rossa, e l’ultimo non indossa la maglia nera ma porta la lanterna rossa.
Il Tour de France è la carovana e la gendarmeria, il villaggio della partenza e la cittadella dell’arrivo, è la folla dal primo all’ultimo chilometro, è la sedia a sdraio, lo sgabello della cucina, la poltrona del salotto, la coperta sul prato, il sedile di una gru, la sella di un cavallo, la sella di duecento bici in gruppo e infinite fuori.
Il Tour de France è la scintilla che si accende al chilometro zero e la fiamma rossa che segna l’ultimo chilometro, è la fuga che va via ai primi chilometri e che viene inghiottita agli ultimi, è un uomo solo al comando davanti, ma anche un uomo solo al comando però dietro, è un gruppo di duecento uomini soli dentro di loro quando affrontano una salita superiore alle voglie o alle pretese, certo alle esigenze e alle urgenze.
Il Tour de France è ventuno tappe con un cronometro, una cronometro, una cronosquadre, un fuori tempo massimo. Il Tour de France è i francesi che prima o poi s’incazzano, è la curva degli olandesi, è “ah les italiens”, è l’Americano che rimarrà sempre e soltanto Armstrong. Il Tour de France è dei turisti e dei “touristi”, dei poeti e dei lettori, dei vagabondi e dei sognatori, dei “suiveurs” a caccia di “souvenir”. Il Tour de France è, almeno per un giorno, Tour de force e, spesso, Tour de souffrance.
Il Tour de France è il Tour e basta, perché “il Tour è il Tour”. Il Tour de France è “Poupou” Poulidor e anche Anquetil. Il Tour de France è Botescià, Bartalì e Coppì, Gimondì e Pantanì, e Nibalì. Il Tour de France è una foto tra i girasoli e nella lavanda, a Mont-Saint-Michel e sull’Alpe d’Huez, anche se il centro del mondo – questo lo sosteneva Salvador Dalì - sta nella stazione di Perpignan, forse nel bar della stazione di Perpignan, o forse nella tazza di un caffè nel bar della stazione di Perpignan. Il Tour de France è, dal 1903, tutti i nostri mesi di luglio, e chissà se, anche per questo, amarlo viene così facile.
Marco Pastonesi