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dalla Redazione | 23/05/2018 | 07:12

Un salto all’indietro nel tempo per ricordare il periodo quando anche i corridori avevano le “stellette”. Era l’epoca della leva militare obbligatoria che è decaduta, per legge e per tutti, agli inizi degli anni 1990.

Per illustrare l’ambiente, le situazioni, ci siamo affidati alla grande competenza in materia – e non solo – del generale di brigata Angelo Giacomino, figura di riferimento, passione e competenza in materia che, ritirato dal servizio, continua comunque a essere attivo nel ciclismo con ruolo di responsabilità nel Comitato Regionale Lombardo F.C.I. 
E con il generale Giacomino è da ricordare suo suocero, il generale dei Bersaglieri Umberto Raza, che l’ha preceduto nel comando della Compagnia Speciale Atleti di Milano.

Le Compagnie Atleti, quattro in tutta Italia, istituite agli inizi degli anni 1960, erano dislocate alla cittadella militare della Cecchignola di Roma con prevalenza di calciatori, atleti di varie discipline e anche ciclisti, così come a Napoli. A Bologna il nucleo più rappresentativo era quello della pallavolo e della pallacanestro con rappresentanze di calcio e ciclismo. A Milano, nella caserma di Viale Suzzani 125, sede del 3^ Reggimento Bersaglieri Brigata “Goito”, nella zona nord della città, vicino a Niguarda, sulla strada per Sesto San Giovanni e Monza, dal 1964 al 1989 ha avuto sede la Compagnia Atleti che raggruppava esclusivamente corridori ciclisti.

Tutte le Compagnie Atleti erano espressioni del Corpo dei Bersaglieri, appartenente all’Arma di Fanteria e fondato nel 1836 da re Carlo Alberto di Savoia su proposta dell’allora capitano torinese Alfonso La Marmora. E in pratica, da allora o poco dopo, i fanti dal cappello piumato che vanno sempre di corsa hanno in continuazione convissuto con antenate della bicicletta, affettuosamente definita nel loro gergo “carriola” con i primi modelli che pesavano circa trenta chili, e con la sua evoluzione. Nella storia, in quest’ambito, spicca la figura di Enrico Toti, caduto da eroe nel primo conflitto mondiale e insignito della medaglia d’oro al Valore.
Altro caduto da bersagliere è stato, nel primo conflitto mondiale, Carlo Oriani di Cinisello, vicino a Milano, detto “el pucia”, vincitore del Giro d’Italia 1913 e del Giro di Lombardia dell’anno prima.

La manifestazione storico/sportiva “Bersaglieri & Biciclette” del 22 aprile 2018 ha ricordato con solennità il 120^ anniversario di Fondazione dei Bersaglieri Ciclisti con una documentata e piacevole pubblicazione con ricca iconografia che rievoca il capitano dei Bersaglieri Luigi Camillo Natali, marchigiano d’origine ma milanese d’adozione che, con la sua pervicacia e la sua straordinaria passione per le due ruote, fondò la specialità dei Bersaglieri Ciclisti, proprio a Parma, il 15 marzo 1898. Una ricorrenza che ha rinverdito i ricordi e gli affetti per i bersaglieri ciclisti e che ha riscosso successi di partecipazione e simpatia, come già raccontato da tuttoBICIweb.it. Un evento che ha pienamente ripagato gli sforzi e la passione di Leonardo “Leo” Levati, altro milanese d’origine, proprio della zona di Viale Suzzani, bersagliere ciclista, poi direttore sportivo e dirigente nel professionismo che risiede, da vario tempo, a Parma, assai impegnato nell’iniziativa.

Teniamo Milano quale riferimento della Compagnia Bersaglieri Ciclisti che nel periodo d’attività contava dai cento ai centoventi atleti che erano ammessi in base al criterio meritocratico dei punti acquisiti nella categoria “juniores”. C’è stata sì qualche “eccezione”, ma in numero veramente limitato. L’ammissione alla Compagnia avveniva dopo circa un mese di frequentazione del C.A.R. (il famoso Centro Addestramento Reclute) e, dopo la cerimonia del “giuramento”, i corridori in regola con i punti raggiungevano Milano o le altre tre sedi.

A Milano confluivano soprattutto i lombardi, ovviamente, i veneti, i friulani, i piemontesi, i liguri e i valdostani. E fra lombardi e veneti, i due gruppi più numerosi, c’era continuamente una viva competizione, e non solo ciclistica, sempre comunque controllata mediante il rispetto delle regole che vietavano gli “scherzi” più pesanti e la cui infrazione era severamente contrastata.

La giornata tipo della Compagnia Speciale Bersaglieri Atleti di Milano si articolava in mezza giornata dedicata all’allenamento e l’altra metà riservata alla pratica militare.
L’allenamento prevedeva uscite in bici per indirizzarsi di preferenza a nord, verso la Brianza, nelle zone con i rilievi delle Prealpi, con tipologia di percorsi e profili altimetrici vari e variabili, secondo le esigenze personali con la supervisione di un tecnico indicato dal Settore Tecnico Nazionale della FCI. Fra i primi, verso la fine del 1960, ha esercitato tale ruolo – ricorda il generale Giacomino - un giovanissimo Renato Di Rocco, fresco reduce dagli studi di Maestro dello Sport, alle sue prime esperienze milanesi sul campo. Gli hanno fatto seguito il comasco Sergio Introzzi e poi, per lungo tempo, il poliedrico ed estroverso Renzo Zanazzi. Erano loro a interloquire sul piano tecnico con i direttori sportivi di riferimento delle formazioni degli atleti che avevano un costante e costruttivo dialogo con la struttura. Per la pista era disponibile, quando non colpito da qualche “acciacco”, c’era il glorioso impianto del Vigorelli.

I corridori-bersaglieri vivevano nella medesima sede del reggimento composto di circa 700/800 bersaglieri ma erano ospitati nella struttura denominata “Palazzina Ciclisti” con camerate, mensa, sala attrezzi, docce, bagni, magazzini strutturati sulle esigenze e tipicità specifiche dei pedalatori. Due cuochi fissi, professionali, si occupavano delle particolari esigenze alimentari dei corridori e la mensa ciclisti osservava orari assai elastici per corrispondere alle richieste.

Nella seconda metà della giornata la pratica militare occupava, “non in modo assillante...” dice – sorridendo – il generale Giacomino, i corridori con le stellette. E da quando era tenente, era il 1977, ha visto passare, con i vari contingenti, fino al 1989, circa milleduecento corridori. E ricorda pure un giovane, giovanissimo Pier Augusto Stagi che, tutti i martedì, dagli inizi degli anni 1980, passava in caserma per avere notizie di prima mano, da giornalista di razza, dei corridori-militari. Era un po’ un modo per rifarsi dell’impossibilità, per assoluta e conclamata mancanza di punti di merito ciclistico, di potere essere stato inserito fra i militari-ciclisti. Si è comunque rifatto come giornalista, il direttore Stagi.

Nomi che hanno fatto la storia del ciclismo italiano sono transitati, in grande profusione, dalla caserma di Viale Suzzani. Riteniamo in pratica impossibile selezionarli.
La fanfara dei bersaglieri, con le tradizionali marce, è stata in moltissime occasioni la spettacolare colonna sonora di molti eventi ciclistici di primo piano in varie parti d’Italia e pure all’estero.
Molteplici sono gli episodi e gli aneddoti che affollano i ricordi del generale Angelo Giacomino e, prima, di Umberto Raza, il suocero.

Giacomino rammenta ancora con emozione e quasi commozione un episodio legato a Gianni Bugno che, il giorno stesso della vittoria nella prova in linea del campionato italiano dilettanti seconda serie, era il 1983, si presentò sul fare della sera con il suo direttore sportivo, il monzese Gianni Di Lorenzo, suonando il citofono della sua abitazione privata. Era per offrire il mazzo di fiori della vittoria alla signora Daniela, la moglie di Angelo Giacomino, quale ringraziamento per la settimana di licenza concessagli per preparare la gara E Gianni Bugno, con la vittoria, fruì di un’altra, ulteriore, settimana di licenza-premio. Cose da Bugno…

Altro affettuoso e commosso ricordo è per lo sfortunato Fabio Casartelli che durante il servizio militare, ogni sera, in libera uscita, si recava a cena in famiglia ad Albese con Cassano con papà Sergio che lo accompagnava in caserma prima della ritirata.

Così come i nomi dei corridori che sono passati per la Compagnia Atleti è difficile e arduo citare i successi ottenuti dagli stessi che, negli anni, hanno primeggiato anche nei campionati internazionali riservati ai militari. E il vestire la maglia azzurra, allora come oggi, era sentito e vissuto con straordinario orgoglio dai corridori con le stellette, sempre particolarmente motivati per rappresentare l’Italia nelle competizioni loro riservate, sia in patria, sia all’estero.

Giuseppe Figini

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