La bicicletta è cronaca, romanzo, saggio, dispaccio, poesia, almanacco, enciclopedia, manuale, articolo, storia, fondo, blog, biografia, elzeviro, guida, catalogo, ordine di arrivo e classifica generale, didascalie, tweet, dizionario. Ma la bicicletta è - soprattutto, sempre - racconto. Stavolta: “Otto racconti in bicicletta” (Bolis, 160 pagine, 24 euro).
Otto scorrevoli e penetranti, ottocenteschi e novecenteschi, raffinati ed elegantissimi racconti d’autore. “Domare in bicicletta” di Mark Twain, sull’arte di cavalcare l’anticavallo (“Prendi una bicicletta, non lo rimpiangerai. Se resti vivo”); “Esibizione” di Stephen Crane, le sfide acrobatiche fra due ragazzi newyorkesi (“La bicicletta rimase nella sua fantasia come una macchina fantastica”); “In sella” di Olindo Guerrini, la confessione di un padre convertito dal figlio alle due ruote (“Il viandante che cammina tranquillo pe’ fatti suoi e, così all’improvviso, si sente da lato il frullo di una bicicletta, prova una sensazione sgradita che si traduce spesso in interiezioni ingiuriose contro al ciclista e talora contro la Divinità”); “La bicicletta di Ninì” di Alfredo Panzini, l’avventura di un bambino a due ruote (“Il nobile ordigno…”, “apparteneva alla più austera aristocrazia della specie: era venuta direttamente dall’Inghilterra e ritenea qualcosa della rigida alterezza britannica”); “Il velocipede” di Alfredo Oriani, la storia di un amore (“Lo si vedeva arrivare e partire a tutte le or sempre vestito irreprensibilmente, col colletto dritto, inguantato…”, “balzando in sella o lasciandosi cadere al di là del manubrio dinanzi alla grande ruota con una sicurezza da ginnasta”); “L’avventura della Priory School” di Arthur Conan Doyle, un caso che vede impegnati Sherlock Holmes e il fedele Watson (“Due indizi. Uno, la bicicletta con pneumatici Palmer…”, “l’altro, è la bicicletta con la gomma Dunlop rappezzata”); “Un’osteria” di Federigo Tozzi”, un viaggio in bici da Faenza a Firenze e l’incontro con una donna (“Vedevo soltanto la sua maglia sbiadita e i suoi capelli impillaccherati sotto il berretto senza ormai più colore”); e “Un’invenzione diabolica” di James Galsworthy, una giovane donna in bicicletta sconvolge la vita di un anziano gentiluomo (“La sua diffusione portò alla scomparsa delle gonne lunghe, dei busti, delle acconciature a treccia, delle calze nere, delle caviglie grosse, dei cappelli larghi, della modestia e della paura del buio”).
Giovanni Casalegno ha selezionato gli otto racconti, pubblicati fra 1884 e il 1930, e dunque liberi di essere ripubblicati (per quelli di Twain e Crane si tratta della prima traduzione in italiano), e ha scritto un’introduzione letteraria che parte da una poesia dello spagnolo Max Aub (“Questo coso a due ruote ti fa nascere delle idee…”) e si conclude con un’intuizione di Curzio Malaparte (“In silenzio trafigge lo spazio, in silenzio penetra nel tempo…”), pedalando un po’ con Edmondo De Amicis e Ernest Hemingway, un po’ con Marcel Duchamp e Umberto Boccioni, un po’ con Gianni Brera e Mario Fossati. Riccardo Guasco firma le illustrazioni con quel suo riconoscibile tocco, così leggero, così ironico, in bianco, nero e marrone. E in bianco, nero e marrone è la grafica del volume. Forse perché quelle strade di un secolo fa esplorate dalla bicicletta qui sono marroni di sterrato, bianche di carta e nere di inchiostro.
Marco Pastonesi