Una riga. Una riga bianca. Una riga bianca di vernice. Una riga bianca di vernice in mezzo alla strada, anzi, in mezzo a una strada. Una riga bianca di vernice in mezzo a una strada in un certo giorno, anzi, a una certa ora, minuto, secondo, a volte centesimo di secondo, addirittura fotografia, perché anche il tempo può essere fermato per un istante in uno scatto. Quella riga segna il traguardo, indica l’arrivo, fissa l’ordine, determina la classifica, stabilisce la storia. Quella riga è una linea e un limite, è anche una partenza o una ripartenza, l’attacco di un pezzo o di un romanzo, di una festa o di un rimorso, o addirittura di un’epoca.
Ma in fondo, in fondo alla corsa ma anche al cuore, in fondo alla vita e a quello che ne rimane, in fondo in fondo, quella riga è soltanto una riga bianca di vernice in mezzo a una strada. Un’ora dopo la riga sembrerà già sbiadita, sfuocata, se non perfino svanita. Perché ammainato lo striscione, smontato il podio, sparite le miss, ritirate le transenne, quella riga sarà ormai solo un ricordo, un’idea, una formalità. Forse un caso. Forse anche un caos. E lo stesso luogo sarà irriconoscibile: non più vissuto da corridori e biciclette, non più animato da vento e spettatori, ma abitato da macchine e pedoni, da tutto e da niente, da altri e da altro.
Righe bianche di vernice in mezzo a una strada, Gianni Bugno ne ha viste per settimane, mesi, anni. Righe giovanili, righe anche pistaiole, poi righe dilettantistiche e professionistiche, righe in salita e in discesa, righe individuali e collettive, righe italiane e mondiali, righe da tappe e righe da classiche, rigando diritto a prescindere da curve e tornanti, fino a quando ha decido di tirarci su una riga, e via, e basta, e stop. Ma erano – dice Bugno – soltanto righe. E superate quelle righe – spiega Bugno -, a volte si diventava, ma più spesso si rimaneva, quello che si era. Uomini – elenca Bugno -, uomini e corridori, con tutte le proprie debolezze e fragilità, con tutti i propri sogni e voglie, con tutti i propri dubbi e certezze.
Bugno si confessava così, l’altra sera, a Inzago, alle porte di Milano, nella serata inaugurale degli incontri sullo sport. Da uno che ha conquistato due volte consecutive il titolo di campione del mondo, da uno che ha dominato un Giro d’Italia indossando la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa, da uno che viene ancora indicato come il più talentuoso corridore di sempre, ci si aspetta qualche racconto più eroico, qualche cronaca più trascendentale, qualche descrizione più magica. E invece lui sembra fare di tutto per sminuire, rimpicciolire, ridimensionare. Tant’è che, alla fine, come pentito di avere causato una delusione, o forse convinto di avere spezzato un incantesimo, o almeno consapevole di avere scosso l’ambiente, ha chiesto perfino scusa.
Bugno non ricorda la marca né il colore della sua prima bicicletta, però ci ricorda sempre quanto sia, più che sottile, effimera, inconsistente, ininfluente la differenza fra il primo, il leader, il vincitore, e gli altri, non sconfitti né perdenti, soltanto dietro rispetto alla riga bianca. La vera classifica – sostiene Bugno – è quella della vita. E siccome la bici è un po’ come la vita, e la vita è un po’ come la bici – dice Bugno -, l’importante è fare le cose bene.
Marco Pastonesi