Le quattro ragazze dell’inseguimento – Elisa Balsamo, Tatiana Guderzo, Letizia Paternoster e Silvia Valsecchi -: la loro felicità è al primo posto. E la specialista dello scratch – Maria Giulia Confalonieri -: il suo sorriso illumina il podio.
Italiane in bicicletta: l’ultima immagine viene dai campionati europei su pista, in questi giorni, a Berlino, con l’oro del quartetto e il bronzo della velocista, luccicanti di gioia e commozione. E le italiane, o almeno le romane, in bicicletta saranno le protagoniste di “Bicinrosa”, la prima edizione di una pedalata che ha l’obiettivo di sensibilizzare per la lotta ai tumori al seno e che si disputa domani, ritrovo (dalle 8), partenza (alle 11) e arrivo (dopo 7 km) alle Terme di Caracalla (per informazioni e iscrizioni www.bicinrosa.it).
La bicicletta è donna. Lo è nel sostantivo, femminile. Lo è nell’antico soprannome, in francese, “petite reine”, la piccola regina, la reginetta. Lo è nella bellezza del telaio, nella grazia delle linee, nella seduzione delle forme. Lo è nella leggenda: alla Parigi-Rouen del 7 novembre 1869, fra i 120 al pronti-via, c’era anche una donna, che si era iscritta come Miss America, ma era inglese, fu la ventinovesima dei 34 a giungere al traguardo dei 123 km (e la prima a comparire in un ordine d’arrivo), e si racconta che passò la notte – non proprio in bianco – con un affettuoso accompagnatore. Lo è nello scandalo: nel 1898, a Oakham, Surrey, Inghilterra, due donne contro, Matha Sprague, albergatrice, e Florence Harberton, cliente, nonché tesoriera dell’associazione Rationale Dress e moglie di un visconte, la Sprague vietò l’ingresso nel suo hotel alla Harberton, perché la Harberton indossava pantaloni alla zuava, camicia di flanella con cravatta, cappello a tesa e guanti, insomma, perché era vestita da ciclista. E lo è nella lotta, nella sfida, nella emancipazione: al Giro d’Italia del 1924, fino all’ultimo momento gli organizzatori della “Gazzetta dello Sport” avevano nascosto l’identità della prima donna alla partenza, elidendo l’ultima lettera del suo nome e trasformandola in Alfonsin Strada, per il timore di rappresaglie dei tifosi e dei lettori, e forse anche degli altri concorrenti, tranne poi ricredersi e tenere in gara Alfonsina Strada anche dopo che era giunta fuori tempo massimo nell’ottava tappa, L’Aquila-Perugia, 296 chilometri di sterrato, in una giornata di pioggia e vento.
Oggi la bicicletta è donna sulle strade urbane e trafficate, su quelle bianche ed eroiche, su quelle delle granfondo e delle “randonnée”, sulle piste e sui sentieri, nelle sale-stampa, nelle librerie e nelle biblioteche. La bicicletta è donna perché porta la primavera anche in autunno. La bicicletta è donna anche perché tutti gli uomini la considerano come una compagna o una concubina, la vivono come un’amante o un’amica, le si confessano come se fosse una psicanalista, le si affidano come se fosse una psicoterapeuta.
Marco Pastonesi