Aiuta a stare bene, ad andare a scuola, a trovare lavoro. Aiuta a risparmiare tempo, dunque, aiuta a vivere un po’ di più, dunque, aiuta ad allungare la vita. Una bicicletta ti cambia la vita.
C’è un’associazione svizzera che ogni anno, in 500 punti, raccoglie più di 22 mila biciclette vecchie, abbandonate, rotte, destinate al macero, le sistema e le spedisce in Africa. Là le biciclette – ne sono state inviate 150 mila - godono di una seconda opportunità.
Si chiama Velafrica: tutto comincia nel 1993, quando Paolo Richter apre un’officina da ciclista, un anno più tardi riceve la visita di un ghanese, Mozato Ohene-Akonor, insieme pensano a un ponte tra Svizzera e Ghana, un ponte di biciclette, il primo container viene spedito nel 1994, e da allora il flusso non si è più fermato. Non solo Ghana, ma anche Gambia, Madagascar, Mozambico, Tanzania, Eritrea, Burkina Faso e Costa d’Avorio. Non solo biciclette, ma anche laboratori per imparare il mestiere di ciclista e programmi per promuovere la mobilità lenta e dolce, pulita e silenziosa, quella – appunto – delle due ruote a forza umana.
“Il concetto dietro Velafrica – spiega Franco Marvulli, ex professionista svizzero, tre ori mondiali su pista, oggi testimonial dell’associazione umanitaria – è fantastico: crea posti di lavoro e facilita la vita”.
Piccoli miracoli, spesso sconosciuti. Come quello voluto da Nicola Morganti in Tanzania: l’Arusha Bicycle Center, a Olasiti, che vende e affitta, insegna e accompagna, che fa correre e organizza corse, promuove l’uso nelle scuole e attraverso gruppi Whatsapp. Lo scorso agosto la ciclofficina dell’ABC ha assistito un corridore bianco, che da due anni e mezzo sta girando il mondo. E sistemata la sua bici, i ragazzi della ciclofficina si sono sentiti dire che, di tutte le botteghe e negozi, qui il viaggiatore aveva trovato non solo la più alta professionalità, ma anche i più autentici sorrisi.
Marco Pastonesi