“Tutto, tutto si origina dal carbonio, un atomo di carbonio e due di fantasia, i fantasmi e il frigorifero, le ossa il volo la palude, le biciclette i materassi e il neon, e finisce negli occhi nelle parole, sguardo e alfabeto, curiosità e oblio”.
Gian Luca Favetto è un viaggiatore parlante e una parola viaggiatrice. Scrittore, poeta, giornalista, su carta e alla radio. “Le mie fondamenta sono ancora foglie fogli poemi e viaggi. Il mio fondamento è il viaggio. Per questo sono qui, per andare”.
Quello più recente è “Il viaggio della parola” (Interlinea, 88 pagine, 12 euro), e le parole sono tutto quello che ci rimane, e dunque vanno spese con coscienza, consapevolezza, dignità. “Le parole sono il metro, l’unità di misura / del mondo, sono il peso l’ora delle cose / del mondo, sono il bacio. Hanno lo sguardo / degli astri, nel loro fondo indugia la luce”.
La bicicletta lo ispira, lo diverte, lo rallegra, il ciclismo è sempre una buona scusa, fuga, inseguimento. Quando ha seguito il Giro d’Italia, era come un bambino a Disneyland, era come un alpinista sulle Dolomiti, era come un velocista alla Sanremo. Così sono nati i capitoli di “Italia, provincia del Giro” (Mondadori), una pedalata fra scoperte, esplorazioni, avventure, e soprattutto divine commedie umane, poi le poesie di “Mappamondi e corsari” (Interlinea). “Il luogo non è geografia, è storia, persona, persone, voci, e non è mai questo / è altro”.
“Il viaggio della parola” ha la pedalata rotonda e a volte quella danzante del grimpeur (“L’umanità è enciclopedia”), ha il vento alle spalle e a volte di traverso (“Lascio i venti passare ore tra le fessure”), poi sfreccia e sprinta (“Di storie non di atomi è la vita”).
Favetto ha il cognome di uno stradista e lo spirito di un biker: “Scrivere è vivere in un bosco / la carta è gli alberi / l’inchiostro gli umori. / Anche il computer scrive a penna / anche il silenzio scrive / e non lo dice”.
Marco Pastonesi