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LE STORIE DEL FIGIO. LA GRAN FONDO D'ITALIA
dalla Redazione | 05/11/2016 | 08:09

Il recentissimo ricordo del pesarese Enrico Paolini “il fedelissimo” pubblicato su questo sito (CLICCA QUI) e che citava la Gran Fondo d’Italia (Milano-Roma), è questa la denominazione ufficiale, indicata anche quale “epilogo” al Giro d’Italia 1979, fu disputata il 7 e 8 giugno sulla distanza di 670 (seicentosettanta) chilometri, ha innescato un piccolo, civilissimo, dibattito telematico al riguardo del luogo di Roma dove fu aggiudicato l’arrivo. Il dubbio riguardava se la conclusione fosse stata allo Stadio Olimpico oppure nel contiguo Stadio dei Marmi, dal 2013 dedicato a Pietro Mennea. Diverse fonti riferiscono, erroneamente, che la Gran Fondo Milano-Roma si disputò il 26 maggio.

Abbiamo interpellato il vincitore, Sergio Santimaria, classe 1957, nato a Vigevano ma residente nella vicina Cilavegna, dove esercita la professione di pioppicultore e commercio di legnami con diploma di perito industriale. E’ stato un valido professionista dal 1978 al 1987 vincendo due tappe al Giro d’Italia dove ha pure indossato, seppure per un solo giorno, la maglia rosa. Mecap-Hoonved, Selle San Marco, Del Tongo e Ariostea sono le squadre dove ha corso ed è stato apprezzato. Con Giuseppe Saronni e Giovanni Mantovani continua un buon rapporto d’amicizia. E’ stato anche dirigente ACCPI e il suo legame con il ciclismo è stato continuato dal figlio Luca, ottimo dilettante nella Viris Vigevano, laureato in medicina e dalla figlia Margie, triatleta nelle posizioni di vertice della specialità, che gareggia per il G.S. Fiamme Oro della Polizia di Stato.

Per Sergio Santimaria non ci sono dubbi: l’arrivo fu nello Stadio Olimpico, sulla pista d’atletica. Ricorda il tratto finale, con il passaggio nel sotto tribune, per immettersi sulla pista in materiale composito ma con superficie un po’ polverosa per “firmare” una vittoria che sa di storia. Ricorda pure che nel finale di gara non sentiva la catena, come si suole dire, avvertiva tanta forza e si sentiva sicuro – senza presunzione – dei suoi mezzi perché, spiega, era abituato a dormire comunque poco la notte. Le facce dei componenti il gruppetto di testa, riferisce, tradivano invece una comprensibile stanchezza dopo una notte e quasi un giorno passati in sella. E ha fatto la sua corsa, tirando dritto e vincendo.

(ecco la pagina de L'Unità dedicata alla Granfondo con l'articolo di Gino Sala: ce l'ha inviata il prezioso Carlo Delfino)

Reso il dovuto e doveroso onore al vincitore, proponiamo, con dei flash riannodati sul filo della memoria, alcuni aspetti e qualche curiosità della Gran Fondo Milano-Roma che voleva riproporre una competizione di resistenza la cui ultima edizione fu disputata nel 1941 sulla distanza di 522 chilometri, tutti in Lombardia, vinta al Vigorelli in volata dal toscano Aldo Bini davanti ai corregionali Cinelli, Bizzi e Bartali. Era l’ottava di una serie iniziata nel 1894.

 Vincenzo Torriani e La Gazzetta dello Sport-Organizzazioni pensarono di proporre questo “revival” di ciclismo antico, seguendo anche le idee e le vive sollecitazioni in materia di Bruno Raschi, storica firma di ciclismo della rosea e di Fiorenzo Magni, ascoltati, ascoltatissimi, consiglieri del “patron” e di Giovanni Michelotti, il suo braccio destro.

L’idea originale era quella di riservare la competizione ai concorrenti del Giro d’Italia e con l’obbligo di partecipazione per i primi dieci della classifica generale finale, senza però valere sulla classifica. Il 62^ Giro d’Italia, nel 1979, è stato il primo dei due vinti da un giovanissimo Giuseppe Saronni che strappò la maglia rosa, nella cronometro da Rimini a San Marino, poco prima di metà Giro, a colui che la indossava dall’inizio: indovinate chi? Facile, Francesco Moser. E da lì è iniziato l’ultimo grande dualismo del nostro ciclismo. Il trentino finì secondo, a 2’09”. E’ stato il Giro dove fu riproposta la “maglia nera”, sponsorizzata da Maurizio Castelli, “vinta” dal bergamasco Bruno Zanoni, ultimo a 3h.00’51” da Giuseppe Saronni.

L’idea della Gran Fondo fu subito indigesta, già al momento dell’annuncio, per i “pezzi da novanta”, nonostante l’adesione preventiva e conseguenti pressioni dei dirigenti le squadre e di vari personaggi influenti. A metà Giro circa, a Portovenere, fu deciso di modificare il regolamento e non ci fu più l’obbligo di partecipazione per i primi dieci della generale e la Milano-Roma incise solo sul Trofeo Ritmo (e vedremo perché) e sulla classifica a squadre per tempi.

Furono cinquantanove i concorrenti reduci dal Giro che si era concluso all’Arena Civica di Milano mercoledì 6 giugno con la vittoria di Giuseppe Saronni, già in rosa, nella cronometro con partenza da Cesano Maderno, che presero il via, sul far della sera di giovedì 7 giugno, poco dopo le 21, da piazzale Medaglie d’Oro, a Porta Romana, lungo le mura spagnole, presso la caratteristica palazzina stile liberty del circolo ricreativo ATM, l’azienda trasporti. Numerosa la folla nonostante l’assenza delle “stelle” attratta anche dalle quaranta vetture Fiat Ritmo attrezzate, sopra i montanti del parabrezza, con speciali fari addizionali realizzati dalla Valeo, fornitrice della Fiat, fissati a due supporti che raggiungevano circa tre metri d’altezza, in totale. Era il frutto di varie sperimentazioni e prove condotte all’autodromo di Monza, la notte, per consentire un’illuminazione uniforme. I corridori indossavano delle bretelle fluorescenti, prototipi-novità per i tempi, realizzate dalla 3M, con strisce rifrangenti e avevano pure a disposizione luci da apporre al manubrio e dietro la sella studiate da Superpila. Accorgimenti e dotazioni a lungo sperimentate e valutate da esperti che dovevano armonizzarsi anche con la normativa in vigore della circolazione stradale.

Ogni autovettura aveva a bordo due persone e ospitava i servizi tecnici e di supporto della corsa. Il famoso furgone refrigerante San Pellegrino-Franger assicurava bevande fresche ma erano a disposizione anche bevande calde, dietro le ammiraglie.

Grande pubblico lungo la via Emilia attraverso Lodi, Piacenza e qui, con il calare della notte, la corsa entrò in un’atmosfera unica, irreale, d’incantevole suggestione che fece presa ed emozionò pure i corridori. Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Imola - qui Nino Ceroni, l’organizzatore della Coppa Placci e dei Mondiali 1968, aveva organizzato una distribuzione di ciliegie e ciambella per tutti - Forlì, Cesena e Rimini, sempre con il medesimo entusiasmo anche nel cuore della notte. Nei vari luoghi il gruppo concede sempre l’uscita per “visita parenti” agli “enfants du pays”, i corridori del luogo.

L’entrata nelle Marche coincide con il sorgere del sole e, in un certo senso, la luce smorza e annulla la magia della notte. La Gran Fondo diventa quasi una corsa “normale”. Da Pesaro si lascia la costa e si va verso la Gola del Furlo. La densità abitativa e di popolazione cala vertiginosamente e la folla che aveva accompagnato i corridori fino a Pesaro, inevitabilmente, è largamente rarefatta. La media è superiore a quella ipotizzata e dopo Fossombrone s’incontrano i primi leggeri rilievi per Acqualagna, Cagli e il passaggio in Umbria, sempre lungo la s.s. Flaminia, per la località di Osteria del Gatto, poi Spoleto, Terni. La corsa procede di buon ritmo ma senza sussulti. E’ nel Lazio, a Civita Castellana che, come si suole dire, si muovono le acque e si compone un gruppo di dodici corridori che entra sulla pista dell’Olimpico dopo essersi misurato con il traffico della periferia romana e un servizio d’ordine sorpreso dall’anticipo sulla tabella di marcia. Gli spalti sono praticamente e desolatamente deserti. Solo pochi appassionati e qualche militare. Ricordiamo l’ordine d’arrivo: 1. Sergio Santimaria – km. 670 in 18h.49’43” – media 35.584 – 2. Paolini, 3. De Caro, 4. Marchetti, 5. Favero, 6. Donadio, 7. Fatato, 8. Cervato, 9. Martinelli, 10. Conti, 11. Amadori, 12. Passuello, a 31” Bettoni 13., 14. Vicino, 15. Bartley a 40”, 16. Tosoni a 6’20”.

Si ragionò molto alla Gazzetta dello Sport-Organizzazioni sull’opportunità di proporre ancora la Gran Fondo, magari partendo da Roma per arrivare a Milano. Molti i ragionamenti, le analisi e le ipotesi che, comunque, non si sono più resi concreti.
E’ stata comunque un’esperienza unica, stimolante ed emozionante con lo straordinario “effetto notte”, ricco di suggestioni speciali, condivise in vettura e ricordate con l’amico Carmine Castellano.
E’ stata una “bella di notte”, un po’ meno di giorno.

Giuseppe Figini

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